O Cardinale o Barzilai

Scorrendo la Strenna dei Romanisti del 1981 mi sono imbattuto in un simpatico articolo di Secondino Freda (gastronomo e cultore di studi sulle usanze alimentari) sui recipienti e le misure romane del vino.

images-3Come tutti conosco la  fojetta (in italiano: foglietta), indimenticabile alias del mezzo litro. E dunque la mezza fojetta, il quartino, quello che ordino sempre in pizzeria (salvo poi ordinarne dopo un po’ un secondo…). Ma i nomi delle altre misure non li sapevo proprio.  Così il litro si chiama tubbo (in italiano: tubo). Nome che deriva dal contenitore di sostanze chimiche (della capienza appunto di un litro o poco più) usato dagli operai adibiti alla manutenzione delle cassette degli accumulatori di corrente elettrica i quali, alla pausa pranzo, mandavano gli apprendisti con quei contenitori (svuotati e, si spera, lavati) all’osteria a prendere il vino.

Il quinto di litro veniva chiamato chirichetto perché assomigliava all’ampollina usata durante la messa per il vino, mentre il decimo di litro si vuole fosse chiamato sospiro o sottovoce (e vi lascio fantasticare sul perché di queste denominazioni, tra il desiderio e la vergogna).

Ma i nomi più belli sono quelli del doppio litro, chiamato o Cardinale o Barzilai. E se l’origine del primo nome  è facilmente intuibile – la misura “principe” doveva avere il nome, nella città del papa, dei principi della Chiesa – il secondo nome richiede un piccolo approfondimento. Salvatore Barzilai, avvocato e uomo politico di fine Ottocento, triestino trapiantato fin da giovane nella città eterna, frequentava le osterie di Trastevere e di Testaccio, dove s’intratteneva con il popolo ed era solito offrire generosamente da bere agli avventori. Quando l’oste gli chiedeva “Onorevole, un litro?”, lui rispondeva immancabilmente “Due litri!”. «Così, nel tempo, la gratitudine dei beneficati volle manifestarsi – conclude Secondino Freda – attribuendo al doppio litro il nome di Barzilai».

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