La beata, i nonni e io (per tacer del cilindro…)

Tutti (o quasi) conoscono l’estasi di Santa Teresa del Bernini, quella scultura che ispirò ai viaggiatori del Grand Tour commenti “poco santi” (De Brosses diceva che se quello era amore divino, lui sulla terra ne aveva visti molti, di amori così…).

Molti meno conoscono un altro capolavoro dello stesso Bernini, un’altra estasi, quella della Beata Ludovica Albertoni, custodita in una cappella laterale della chiesa di San Francesco a Ripa in Trastevere. Scultura che ho visto e ammirato innumerevoli volte nella prima parte della mia vita. Perché nella suddetta cappella, che dà proprio sull’altare maggiore della chiesa, andavano a messa tutte le domeniche i miei nonni. Quella era la loro parrocchia ed Enrico e Maria ogni domenica mattina scendevano da via Dandolo, traversavano Viale di Trastevere, che mio nonno chiamava ancora Viale del Re (come del resto ha fatto per tutta la vita mio padre), e andavano a occupare sempre lo stesso posto, sulla panca addossata alla parete laterale sinistra della cappella. E noi, quando andavamo a messa con loro, lì stavamo.

Sopra la bellissima statua c’è una bella pala del Baciccio, grande pittore seicentesco genovese, ma a me bambino faceva molta impressione un affresco (di cui nella foto s’intravvede la metà sinistra) che raffigurava la beata in piedi. La parte superiore della veste nera, attraversata dal braccio ricoperto dal manto bianco, a me piccolino ricordava un cilindro (nel senso di “cappello a”) e io mi arrovellavo (senza osare chiedere lumi ai grandi) sul perché la beata portasse un cappello di quella foggia sul cuore. Beata gioventù…

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