Bloccato a letto dai postumi di un’infreddatura, ho seguito senza molta emozione e non sistematicamente lo svolgimento del congresso del Cgil attraverso Rassegna, RadioArticolo1 e i siti mainstream. Personalmente non ho mai apprezzato in modo particolare (politicamente, s’intende) il nuovo segretario generale e le sue scelte. Adesso che guida la Confederazione, una delle poche cose serie rimaste nel paese, spero di essere costretto dai fatti a cambiare idea. Di più: me lo auguro vivamente.
Sia come sia, stamattina ho ripreso in mano i Diari 1988-1994 di Bruno Trentin, che avevo già letto parzialmente quando uscirono e che sono rimasti sempre sul mio comodino, e mi sono letto il 1991, l’anno del Congresso della Cgil, ma anche l’anno della Guerra del Golfo e del crollo dell’Unione Sovietica. Una lettura istruttiva e anche emozionante. Nelle note che scriveva con cadenza varia, Trentin non faceva sconti a nessuno, nemmeno a se stesso. Impressiona la lucidità dell’analisi e dell’autoanalisi, la quantità di letture, quelle per lavoro e quelle “ludiche“. La fatica e il dolore di vivere sono compagnia costante, alleviate solo dai momenti di felicità vissuti con la moglie Marie e dal rapporto con la montagna e la natura.
Finito l’anno 1991, mi sono ricordato che all’inizio dell’anno successivo ci fu a Caracas il Congresso della Cisl internazionale, avvenimento noioso ma occasione per due gite memorabili nel Sud e nel Nord del Venezuela. Di una di queste ho parlato in un post qualche tempo fa. Entrambe le volte nel nostro gruppo c’era anche il Grande Capo. Allora sono andato a curiosare nei Diari per vedere se ce n’era traccia, della gita al salto Angel e alle cascate di Kavac. C’era e ho visto che le emozioni che avevo provato io le aveva provate anche lui. Che a caldo le aveva descritte assai meglio. Così.
«È stata un’esperienza indimenticabile – scrive Bruno Trentin –; forse tra i miei numerosi rapporti con la natura la più ricca di emozioni profonde e la più sconvolgente». Ricorda poi il volo con il piccolo aereo sul Salto Angel e sull’Ayuan Tepui, «il mondo perduto di Conan Doyle»; la marcia di avvicinamento alla grotta con la cascata; la sua brutta caduta, «sono scivolato come un cretino»; e poi l’incontro con l’inimmaginabile. Ecco le sue parole: «Incredibile, dopo un lungo stretto e tortuoso canyon, freddo e scuro, risalendo una corrente fortissima, sono sbucato in una grande grotta nella quale precipitava una cascata di 80 metri, inondando l’ambiente di un pulviscolo dorato. La sensazione di essere fuori da questo mondo, di entrare come un ladro in un’altra, nascosta, dimensione. Nuotare nella piscina e sotto la cascata è stata un’emozione straordinaria. Il mio corpo sentiva contemporaneamente l’acqua che gli scorreva intorno fredda e vivificante, con un sole – lontano – che seminava fuori da lì una temperatura di 34 gradi all’ombra, e l’ambiente inimmaginabile nel quale si muoveva. Sentivo fisicamente la luce, la cascata, la grotta misteriosa, il buco lontano che in alto riportava alla natura lussureggiante dell’Amazzonia».

Il canyon d’ingresso alla grotta

Sotto la cascata