Le puntarelle di nonna Maria

Da via del Pellegrino sbuco su Campo de’ Fiori. Il sole di mezzogiorno splende caldo in questa incredibile ottobrata romana. Sull’angolo il gazebo dell’esercito con i due militari e i loro mitra puntati verso il basso, nella piazza una folla di gente, al settanta-ottanta per cento stranieri, i tavoli dei ristoranti sono tutti pieni di turisti che si crogiolano al sole guardando le loro improbabili lasagne tutte uguali, al centro della piazza Giordano Bruno torreggia impassibile come sempre sui banchi del mercato. Tutto da copione. Eppure quanto è diverso – tutto – da quando trent’anni e passa fa ero venuto a vivere qui vicino e al mercato ci andavo per fare la spesa, non per curiosare in attesa che si faccia l’ora dell’appuntamento con Gianni.

Certo, il primo a essere cambiato sono io. Ma, altrettanto certamente, questa Roma non è più quella. Quando venni a vivere qui, nei vicoli intorno c’erano ancora molti artigiani, le strade erano piene di negozi veri, non di buchi dove vendono solo “ciaffi” per turisti, i ristoranti erano tre o quattro, non la pletora di oggi, dove magari (non nel senso auspicativo del termine) i cibi in vendita sono surgelati, ma tanto che fa, l’importante è mangiare al sole nella piazza più caratteristica della città più bella del mondo…

Con Gianni andiamo a mangiare qualcosa di celiaco da Pandalì, un posto simpatico e buono su via di Torre Argentina, poi ci facciamo un caffè da sant’Eustachio (con relativa coda tra la folla davanti al bancone) e poi passeggiamo parlando di oggi e di ieri. Ricordiamo gli amici che non ci sono più, i locali dove si andava a mangiare la pizza (c’è ancora Navona Notte, dove per poche migliaia di lire ti davano pizza e cozze fino a tardissimo), Baffetto, dove con Gianni non facevi mai la fila e dove la pizza era davvero buona. Passeggiando passeggiando arriviamo fino a via dei Coronari, dove non andavo da tempo. Che orrore, anche la via degli antiquari è diventata un “cibificio”, sembra di stare al Governo Vecchio. Non c’è fine al peggio. Io ho vissuto nel rione Regola per quindici anni, più o meno, prima di andarmene, lui sono ormai quasi trentacinque che sta qui nel rione Parione: «Ogni  tanto ci penso, ad andare via – fa un po’ sconsolato –. Ma dove vado? Casa mia è qui, non mi ci vedo da un’altra parte». Torniamo da lui e passiamo proprio per il Governo Vecchio. All’angolo di Via dei Leutari mi colpisce un cartello sulla vetrina della libreria Altroquando.

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Mi consola pensare che il vecchio spirito dei romani è ancora vivo, anche se deve usare l’inglese per esprimersi. Una risata, un abbraccio con il vecchio amico e torno verso la macchina nel parcheggio a Via Giulia. Roma mia, mi manchi.

P.S. I lettori più attenti, a questo punto, forse si chiederanno il perché del titolo. Eccolo, il perché. L’altro giorno ho visto dal “fruttarolo” delle puntarelle confezionate. Le ho comprate e, quando sono venuti a mangiare mio fratello e mio cognato, le ho preparate con il classico “pisto” di aglio tagliato finissimo e acciughe sminuzzate. Buone erano buone, ma c’era qualche filamento di troppo nelle puntarelle, che poi ti s’incastrava tra i denti ed era un po’ fastidioso. Quando nonna Maria le preparava, invece, “capava” solo le punte più cicciose e le tagliava fini fini con il suo coltellino ad hoc, e poi, lavandole, le puntarelle si arricciavano tutte (queste cose, diceva, le mangi solo se hai una nonna di oltre ottant’anni che ha tempo da perdere). Erano uno spettacolo, da vedere e da mangiare, le puntarelle di nonna. E anche le vecchiette che le preparavano trent’anni fa a Campo de’ Fiori le facevano così. Magari con meno attenzione di mia nonna, ma erano decisamente un’altra cosa rispetto a quelle industriali di oggi. Ecco, mi sembra una discreta metafora dei cambiamenti che ci sono stati, di quelli che ho cercato di raccontare prima. Forse erano inevitabili, non lo so. Ma a me piacevano più quelle, di puntarelle…

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