Leggere Renato Olivieri e le storie del suo commissario Ambrosio stimola la memoria. Stamattina la quarta “madeleine” (per le tre precedenti vedi qui e qui). E il ricordo questa volta è legato a mia madre. Un personaggio di Dunque morranno parla a un certo punto di Taitù e zac, ecco che vedo mamma che a Torvanjanica usava questa espressione a proposito di una vicina di spiaggia di cui non mi sovviene il nome. “Ecco la regina Taitù”, diceva, e parlava di una signora che adesso definiremmo, un po’ più esplicitamente, “una che si crede che ce l’ha solo lei”. Era una donna bionda e appariscente, con gli occhi verdi e le lentiggini, quella che mia madre chiamava così. Avrà avuto un quarantacinque anni, allora – a me poco più che decenne, sembrava un po’ stagionata; oggi mi sembrerebbe una ragazza… – e senza dubbio se la tirava molto: per questo molte signore sulla spiaggia, tra cui mia madre, non la potevano vedere.

L’imperatrice Taitù
Guardo su wikipedia e leggo che la regina Taitù non era regina ma imperatrice, che era la moglie del Negus Menelik II, imperatore d’ Etiopia, che era una donna decisa e contava assai a corte.
Fu vittima di una campagna di stampa diffamatoria alla fine dell’800 da parte dei giornalisti italiani che scrivevano dall’Etiopia, “che la descrivevano come una donna permalosa e arrogante che non si faceva scrupolo di contraddire il marito in pubblico”, per cui il modo di dire cui si riferiva mia madre era divenuto luogo comune nella cultura popolare del nostro paese. Chissà se mia madre sapeva chi fosse davvero Taitù (certo allora non c’era wikipedia…). Cresciuta negli anni venti e trenta in una famiglia borghese romagnola, la cultura di mamma era evidentemente quella del suo tempo. E il politicamente corretto era assai lontano dal venire nemmeno pensato…