Però Carducci, sette anni dopo

Con questo caldo la creatività sta a zero. Il massimo che riesco a fare è andare a vedere che cosa scrivevo questo stesso giorno qualche tempo fa. E un 12 giugno, ma del 2012, sette anni fa, un’era geologica fa, alla vista dei fiori del melograno (che quest’anno sono assai meno numerosi: la pianta deve avere qualche problema, forse a causa del rospo che deve aver eletto quei paraggi a sua dimora) mi lanciavo in una rilettura del Pianto antico di Carducci che mi si è rivelata davanti agli occhi, all’improvviso, dopo anni e anni che non la leggevo né ci pensavo, una gran bella poesia, al di là dello zum-pa-pa che inevitabilmente leghiamo al primo vincitore italiano di un premio Nobel per la letteratura.

Cliccate qui sotto e, quando si apre il vecchio post ribloggato, provate a leggerla come se non l’aveste mai letta, senza farvi sviare dalle vecchie abitudini di bambini che ripetono a pecorone i versi, esagerando accenti e rime, sperando di finire il prima possibile senza inciampare in qualche strafalcione. Vi piacerà, sono sicuro.

enricogalantini

Maledette nuvole. Se non era per loro, il colpo di vista – dal basso, sulle scale che scendono allo studio, con la testa rivolta all’in su e l’i-Phast ancora più su – sarebbe stato notevole, con la messe di fiori rossi, di bei vermigli fior, contro il celeste netto del cielo.

La citazione viene spontanea, ma insieme ai bei vermigli fior, nella memoria c’è giusto l’albero a cui tendevi la pargoletta mano, il verde melograno (appunto) da’ bei vermigli fior. Per il resto, buio, nada, zero carbonella. E dire che l’ho sicuramente mandata a memoria da piccolo, figurati, Carducci e il suo zum pa pa erano d’obbligo. Come pure quell’altra – “Surge nel chiaro inverno la fosca turrita Bologna” – omaggio alla città dove sono nato.

Carducci e il suo zum pa pa. Cerco in rete il testo di Pianto antico  e lo trovo.

“L’albero a cui tendevi
la pargoletta…

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