Maledette nuvole. Se non era per loro, il colpo di vista – dal basso, sulle scale che scendono allo studio, con la testa rivolta all’in su e l’i-Phast ancora più su – sarebbe stato notevole, con la messe di fiori rossi, di bei vermigli fior, contro il celeste netto del cielo.
La citazione viene spontanea, ma insieme ai bei vermigli fior, nella memoria c’è giusto l’albero a cui tendevi la pargoletta mano, il verde melograno (appunto) da’ bei vermigli fior. Per il resto, buio, nada, zero carbonella. E dire che l’ho sicuramente mandata a memoria da piccolo, figurati, Carducci e il suo zum pa pa erano d’obbligo. Come pure quell’altra – “Surge nel chiaro inverno la fosca turrita Bologna” – omaggio alla città dove sono nato.
Carducci e il suo zum pa pa. Cerco in rete il testo di Pianto antico e lo trovo.
“L’albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da’ bei vermigli fior,
nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora,
e giugno lo ristora
di luce e di calor.
Tu fior de la mia pianta
percossa e inaridita,
tu de l’inutil vita
estremo unico fior,
sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra
né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor”.
Mi piacerebbe sentirla recitata da un attore vero, uno che riesca a toglierle tutte le incrostazioni del tempo e di milioni e milioni di scolari che hanno rimasticato per decenni a pappagallo, al ritmo saltellante dei settenari, le rime che si ripetono secondo le schema ABBC, con l’ultimo verso di ogni quartina troncato sulla vocale “o”. Qualcuno che riesca a disinnescare il ritmo e le rime per dare significato alle parole.
Ne verrebbe fuori una gran bella poesia.
L’ha ribloggato su enricogalantinie ha commentato:
Con questo caldo la creatività sta a zero. Il massimo che riesco a fare è andare a vedere che cosa scrivevo questo stesso giorno qualche tempo fa. E un 12 giugno, ma del 2012, sette anni, un’era geologica fa, alla vista dei fiori del melograno (che quest’anno sono assai meno numerosi: la piante deve avere qualche problema, forse a causa del rospo che deve aver eletto quei paraggi a sua dimora) mi lanciavo in una rilettura del Pianto antico di Carducci che mi si è rivelata davanti agli occhi, all’improvviso, dopo anni e anni che non la leggevo né ci penavo, una gran bella poesia, al di là dello zum-pa-pa che inevitabilmente leghiamo al primo vincitore italiano di un premio Nobel per la letteratura. Provate a leggerla sera farvi sviare dalle vecchie abitudini. Vi piacerà, sono sicuro.