
Alec Guinnes, Mr Wormold nel film Il nostro Agente all’Avana
«Non sapevo che ci fossero distinzioni di classe nella tortura.» «Caro Mr Wormold, si renderà conto anche lei che esistono persone che si aspettano di essere sottoposte a tortura e altre che si indignerebbero alla sola idea. Non si tortura mai se non per reciproco accordo.» Quando il loro (degli inglesi) agente all’Avana va a parlare con il capitano Segura, spietato capo della polizia politica del regime di Batista, uno che gira con un portafoglio in pelle umana, questi se ne esce con questa singolare (ma non troppo) teoria classista della tortura. Chi si indignerebbe alla sola idea di essere torturato, non lo sarà, come invece succederà a chi se lo aspetta. Dunque i poveri. Ancora Segura: «Una delle ragioni per cui l’Occidente detesta i grandi paesi comunisti è perché loro non riconoscono le distinzioni di classe. E allora capita che torturino le persone sbagliate. Come faceva Hitler, del resto, e infatti il mondo ha gridato allo scandalo. Quello che succede nelle nostre prigioni, o nelle prigioni di Lisbona o di Caracas, non importa a nessuno.
Ho scritto tempo fa un post che avevo titolato Elogio dell’ignoranza e della curiosità. L’ignoranza mi ha portato a doppiare il capo del 2019 senza aver mai letto nulla di Graham Greene. Adesso che ho incontrato un capolavoro come Il nostro agente all’Avana – ieri notte ho fatto le ore piccole per finirlo – ho molta voglia e molta curiosità per altre letture di questo autore. Che sessant’anni fa concepì (e scrisse con una lingua modernissima e una capacità di costruzione del plot invidiabile) una storia paradossale e tremendamente anticipatrice sul vero e sul falso, sul mondo dello spionaggio – ma oggi sul mondo tout court – in cui nulla è quello che sembra, ma in cui qualcosa, quando “sembra”, finisce anche per “essere”.