«Avevo promesso ai miei familiari di lasciare sempre a lui l’ultima parola nelle discussioni, ma in questo caso avevo una responsabilità diversa. Quella donna abita di fronte a casa mia. È una mia conoscenza e una mia invenzione. Mi dispiace per lei. Non intendo lasciarla là in casa a piangere. (In effetti non ce la lascerebbe neanche la Vita, che a differenza di me non ha pietà»). Leggendo questa frase in un racconto di Grace Paley (“Una conversazione con mio padre”, da Tutti i racconti, Sur 2018, pag. 326) ho avuto un sussulto.
È presto per scrivere una recensione del libro – sto per finire il secondo libro di racconti raccolti in questa integrale, quello pubblicato nel 1974 sotto il titolo di “Enormi cambiamenti all’ultimo minuto”e dunque mi manca l’ultimo libro, quello del 1985. E non so neppure se voglio scriverla, una recensione (o se sono all’altezza: a me la volpe che sdegnava l’uva mi fa un baffo, solo che io ho fatto dodici anni di analisi…).
Ma questa frase mi ha illuminato sul rapporto di empatia che c’è tra Paley e i suoi personaggi, che è uno dei motivi per cui questi racconti mi piacciono tanto, anche se non tutti allo stesso livello: confesso che di alcuni – pochi – mi è un po’ sfuggita la ratio.
Scrive George Saunders nella prefazione: «Grace Paley per me è una specie di santa laica. Chi è il santo? Un individuo particolarmente attento alle cose come sono e straordinariamente in grado di accettarle. Grace Paley rende onore a ogni persona e cosa che crea presentandole al loro meglio, o quantomeno al massimo della loro vitalità– il che forse è lo stesso».
Avevo promesso a me stesso di leggere un solo racconto al giorno, per prolungare il più possibile il godimento. Confesso che, dopo un paio di settimane in cui sono stato ligio, sto tradendo il buon proposito iniziale. Un giorno ne ho letti addirittura tre, vada a mia discolpa il fatto che erano davvero brevi… In fondo, con una scrittura così potente, anche la rilettura sarà fonte di grande godimento.