Qualcuno oggi, ben due persone, hanno letto (o almeno hanno aperto) questo post. Che è tra quelli che amo di più e che però in quasi sette anni è stato letto (o almeno è stato aperto) solo 85 volte. Dodici l’anno, una al mese: e per fortuna che ci sono state state delle persone che, una ogni trenta giorni, l’hanno fatto. Probabilmente è il titolo che sfugge ai motori di ricerca (eppure mi sembrava di essere stato così “smart” con quel gioco di parole). O forse è la parola “oblio” che non attira, che è nota a tutti e non suscita curiosità. Ma siccome tutti i post sono “piezz’e core”, e alcuni lo sono più di altri, specie se belli e sfortunati, allora ogni tanto lo ribloggo (ovviamente senza cambiare titolo), o almeno lo ripropongo su Facebook.
Essendo oggi appena finita la sagra natalizia dei regali magari è un po’ fuori tempo. Ma è il mio presente (che viene dal passato) per chi lo aprirà per la prima volta. O magari anche per la seconda…
È qualche giorno che mi ronzano in testa i versi saltellanti di Happy endings, la poesia di Jaime Gil de Biedma che ho riportato nel post del 20 gennaio.
Soprattutto i due conclusivi: “En la vida los olvidos/no suelen durar”. Che potremmo tradurre, più o meno, “Nella vita gli oblii/di solito non durano”. Con un rovesciamento, geniale, del luogo comune, dell’esperienza di tutti noi, per cui sono i ricordi, non gli oblii, che di solito non durano, svaniscono, scompaiono. E ci lasciano più poveri.
Provate a pensare a qualcosa che è successo venti o trent’anni fa. Il “titolo” resta, ma il testo è come scritto in un corpo troppo piccolo, gli occhiali non sono più sufficienti a leggerlo dettagliatamente, solo qualche parola emerge dal mare di segni ormai quasi indecifrabili. Ma è vero anche che a volte basta poco – una data, un libro ripreso in mano dopo…
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