Il mio primo disco, era un quarantacinque giri, me lo regalarono i miei genitori (su mia richiesta, ovviamente) che dovevo avere dodici o tredici anni. Era Mr. Tambourine man, la canzone di Bob Dylan, nella versione dei Byrds. Il mio primo long playing, invece fu Aftermath dei Rolling Stones, quello con Lady Jane e la lunghissima (oltre 11 minuti) Goin’ home.
Negli anni, quella di comprare dischi (compatibilmente con le mie possibilità economiche, mai purtroppo esagerate come mi sarebbe piaciuto) è stata una delle mie principali attività ludiche. Comprarli (con gli amici), ascoltarli (anche con gli amici), parlarne (con gli amici). Senza avere per forza gli stessi gusti, ma avendo (quasi tutti) la stessa curiosità.
Nel corso della mia vita ho avuti passioni (forti) per diversi tipi di musica in tempi diversi. E allora magari, in preda al nuovo amore, vendevo a Porta Portese i dischi della vecchia musica che non ascoltavo più, per comprarne di nuovi di quella che in quel momento mi piaceva. Questo mi è successo soprattutto alla metà degli anni settanta, quando mi infatuai oltre misura della musica antica, Medioevo Rinascimento e primo Barocco (Bach era al limite per me, Mozart un pericoloso modernista). La mia collezione di musica rock andò praticamente via in poche settimane. Negli anni successivi, comunque, ricominciai a comprare dischi rock. E molti me li regalava l’amico Gianfri, che lavorava in una delle più importanti case discografiche del mondo.
Poi è arrivato il compact disc, che aveva il pregio rispetto all’ellepì di rovinarsi molto meno. Per me, che odiavo i toc durante un pezzo e il fruscio dovuto al troppo uso, fu un amore a prima vista. Che dura tutt’ora. Certo, il fascino delle copertine degli ellepì era tutta un’altra cosa rispetto ai libretti dei cd, scritti in caratteri minuscoli, ma quello che importava era la musica. Tutta la polemica sulla “freddezza” del suono digitale mi ha sempre lasciato freddo, tanto che, pur avendo comprato da mio cugino un giradischi “hi-end” con una testina di livello adeguato, non l’ho usato praticamente mai.
Da qualche giorno invece sto riascoltando i vecchi dischi. Ho cominciato comprando qualche ellepì in edicola. Il passaggio naturale è stato poi quello di andare a guardare negli scomparti alla base della libreria, dove giacciono inutilizzati da tempo qualche centinaia di dischi, di musica classica (tanti), di jazz (pochi), di rock (abbastanza). Oggi, in rigido ordine alfabetico – li tiro fuori così come sono stati messi, e ogni “pesca” è una sorpresa, anche per le condizioni: i toc sono davvero pochi –, ho ascoltato Gary Brooker e il suo Lead me to the water, Jackson Browne e il suo Lives in balance, Nino Buonocore e il suo splendido Sabato, domenica e lunedì, Eric Burdon e i suoi Greatest hits, Kate Bush con i suoi Lionheart e Never for ever. Ho goduto, diversamente goduto, ma comunque goduto. Adesso stacco perché è ora di mangiare i miei due soliti yogurt. Ma ho intravisto che ci sono altri due o tre ellepì di Kate Bush in attesa. Io sono pronto.