
Il Nanga Parbat
Dopo aver scorso, con un crescente senso di noia (e un po’ anche di disgusto), articoli su articoli su candidati, liste e retroscena, oggi su Repubblica ho letto la storia dei due alpinisti (lei francese, lui polacco) bloccati sul Nanga Parbat. Della corsa di altri colleghi per soccorrere lei, Elisabeth Revor, nonostante le condizioni atmosferiche proibitive, e del fatto che lui, Tomas Mackiewicz, invece non ce l’ha fatta. Dopo essere riusciti – senza portatori, senza corde fisse, senza campi base ma con una sola tenda da montare e smontare ogni volta –nell’impresa a lungo perseguita, sulla strada del ritorno Tomek, così lo chiamavano, s’è sentito male ed è morto così, tra le nevi eterne della montagna killer (come è soprannominato il Nanga Parbat, il nono per altezza dei quattordici ottomila metri).

Tomas Mackiewicz
L’articolo di Umberto Isman si conclude riportando brani di una lettera di Tomas Mackiewicz a un amico che mi hanno commosso. «Certe volte in montagna in inverno – scrive l’alpinista scomparso sul Nanga Parbat –ho l’impressione che il sentirmi libero non sia uno stato d’animo, ma qualcosa che va oltre la mente. È una sensazione sfuggente che certe volte raggiungo e che però non riesco ad afferrare e ad analizzare. Appena la avverto, scappa via. È una condizione così strana , non sarei in grado di descriverla bene a parole. È inafferrabile. È la libertà assoluta, io credo. È qualcosa che sento ed è probabilmente la ragione che mi spinge a tornare qui, ogni volta».
Si parva licet, è la sensazione che credo tutti quelli che amano la montagna e le escursioni (non dico le scalate perché, soffrendo io di vertigini, in questa vita è un’emozione che mi è preclusa, nella prossima spero di no…) una sensazione, dicevo, che tutti quelli che amano la montagna provano, spesso senza sapere esprimerla. C’entra la sfida con se stessi, c’entra la voglia di scoprire i propri limiti, c’entra il gusto della scoperta. Ma c’entra soprattutto la libertà, quella sensazione indefinibile che è la ragione che spinge anche me a tornare ogni volta che posso a camminare sui sentieri delle valli dolomitiche, a perdermi nei boschi di conifere che le riempiono, a cercare ogni volta quel metro in più, quello che mi porta oltre la prossima curva, in cerca di qualcosa che non trovo mai ma che ogni volta mi riempie il cuore.