Caravaggio era morto a Porto Ercole da cinque anni e a Roma la strada era ormai spianata per la scuola bolognese: i Carracci, Domenichino, Guercino, Guido Reni. Tra questi, meno noto al grande pubblico, c’è anche Giovanni Lanfranco, che aveva 33 anni nel 1615 ed era tra i pittori preferiti, se non il preferito, di papa Paolo V Borghese. Artista prolifico quant’altri mai, sono molte le grandi commissioni pubbliche affidategli (e portate a termine) a Roma, ma anche a Parma, e, nell’ultimo decennio della sua vita, a Napoli. Oltre a queste, Lanfranco produsse anche molte opere di minori dimensioni. Una di queste, di cui esiste un’altra versione nella Galleria nazionale di Parma, è il San Pietro che cura Sant’Agata della Galleria Corsini, la seconda tela che ieri m’ha colpito molto nel museo della Ungara, che è appunto del 1615 o giù di lì.
Una tela molto bella, con una evidente ispirazione caravaggesca nell’effetto luministico: la torcia retta dall’angelo con la mano sinistra illumina la santa e lo stesso angelo ma mette in ombra il viso dell’apostolo, sottolineandone invece la mano che cura le ferite di Agata con l’unguento che l’angelo regge a sua volta nella mano destra.
Un’ispirazione caravaggesca cui s’accompagna d’altro canto una morbidezza di pennello e di tocco tutta bolognese, che pervade ogni centimetro del quadro, dal panneggio al gioco delle mani di S. Pietro e dell’angelo, esaltandosi soprattutto nello splendido viso (peraltro modernissimo) della martire siciliana.