Gli occhi sono quasi sempre il primo tramite (assieme al naso) del nostro rapporto con il cibo, e questo spiega l’importanza (anche troppa, se posso dire, pur ammirando l’originalità di certe presentazioni) che si dà nell’alta cucina all’impiattamento .
A me che sono negato a certe raffinatezze quello che affascina sono i colori degli alimenti. Il riso Venere, ad esempio, che quasi nero da crudo si schiarisce un poco nella cottura, liberando un po’ di colore nell’acqua in cui viene cotto, così come libera anche un profumo straordinario in cucina e nei dintorni talché non si può certo fare un piatto di riso Venere a sorpresa (a meno di non essere dotati di potentissimi aspiratori). O il verde scuro scuro del cavolo nero (che appunto nero esattamente non è…).
L’altro giorno ho preparato la cena basandomi su questi due ingredienti base. Al riso Venere semplicemente lessato per 35-40 minuti e poi lasciato freddare ho accoppiato quando era tiepido dei pomodorini tagliati piccoli piccoli con olive verdi e capperi anch’essi sminuzzati e lasciati prima insaporire in olio e origano per un’oretta. Macchie di rosso e verde nella massa bruna del riso. Probabilmente un po’ di cipollotto fresco ci sarebbe stato assai bene, ma sono stato timido…
Il cavolo nero, invece, lessato assieme a un po’ delle sue infiorescenze e poi ripassato aglio olio e peperoncino, l’ho mischiato con dei ceci lessati (già pronti in scatola: ce n’è di assai buoni in giro…). Palline beige nel vere scuro scuro di una delle mie crocifere preferite.
E così il piatto è risultato una variazione di colori scuri con macchie di chiaro all’interno. Bello, anche se un po’ rustico nella presentazione, ma soprattutto assai buono.
Il bianco, notevole, che ha accompagnato il tutto è un vino del Sud Ovest della Francia e, oltre a un ottimo naso (e bocca altrettanto), ha un nome assai curioso. Si chiama Odé d’Aydie, e la sua doc è quella del Pacherenc du Vic Bilh, una denominazione a base di uve Petit e Gros Manseng. Qui sotto la scheda.