È bello quando, leggendo un libro di uno scrittore che ami, questo cita il libro di un altro scrittore (in questo caso una scrittrice) facendoti capire che a lui piace molto. Allora tu, che credi nella proprietà transitiva, decidi che questa scrittrice, di cui ignoravi anche il nome, la devi leggere. Cerchi il suo libro e scopri che, essendo del 1989 (in italiano, in originale è del 1987) non si trova più se non usato. E allora lo prendi usato e aspetti. (Scopriamo le carte: l’autore che amo è John Irving, il libro che ho letto recentemente – anzi, riletto – è il suo ultimo romanzo, Viale dei Misteri. La scrittrice di cui parla è Jeanette Winterson e il libro di lei è Passione.)
Quando Passione arriva hai appena iniziato a leggere A ciascuno il suo di Sciascia. Rapito dalla bellezza della lingua del grande autore siciliano (ma quanti buchi ci sono nelle tue conoscenze, Enrico mio…) quando finisci di divorarlo non sai che cosa leggere e hai paura che qualsiasi libro sfiguri al confronto. Poi vedi Passione e pensi che Irving non dà fregature, mai. Ed è vero anche in questo caso. «Quanto a Passione di Jeanette Winterson, era un romanzo che Juan Diego amava – scrive Irving (e Juan Diego è il protagonista/alter ego del suo romanzo) – : lo aveva letto due o tre volte e continuava a tornarvi. (…) Parlava di storia e di magia, comprese le abitudini alimentari di Napoleone, e una ragazza con i piedi palmati, che per altro era anche una travestita. Era un romanzo sull’amore inappagato e sulla tristezza (…). E Juan Diego aveva sottolineato una frase nel cuore del romanzo che gli piaceva molto: “La religione si colloca tra la paura e il sesso”(…)».
Anch’io ho sottolineato e riproposto qualche frase di Passione (di cui ho appena finito il secondo capitolo). Questa, ad esempio, più che altro divertente: Gli chiesi perché si fosse fatto prete ed egli mi rispose che, se proprio si deve lavorare sotto padrone, è meglio scegliersene uno che non si fa mai vedere. O questa, un po’ più impegnativa: Ero felice, ma questa è una parola da adulti. Non c’è bisogno di domandare a un bambino se è felice, lo si vede. Lo è oppure non lo è. Gli adulti parlano della felicità perché in genere non la possiedono. Parlarne è come cercare di afferrare il vento. Sarebbe più semplice lasciarsi sferzare. È per questo che non sono d’accordo con i filosofi. Parlano della passione, ma non c’è passione in loro. Non discutere mai della felicità con un filosofo.
Ma la scrittura di Jeanette Winterson, la passione che la pervade, ti sferza e ti sollecita di continuo (e sia reso merito anche a Mara Muzzarelli che l’ha tradotta). Un’ultima citazione, una frase a cui anch’io torno ogni tanto (ho messo un post-it alla pagina): Riusciremo mai a comprendere la vita? Un giorno ti sembra ordinata e ti senti soddisfatto, forse un po’ cinico ma tutto sommato appena un pochino, eppure il giorno dopo scopri che il solido pavimento nascondeva una botola e ora ti trovi in un altro luogo, dove il paesaggio ha contorni incerti e le usanze sono strane.
I viaggiatori almeno possono scegliere. Chi issa le vele sa che tutto sarà diverso dove approderà. Gli esploratori sono preparati a questo. Ma noi che navighiamo sui flutti del sangue, noi che giungiamo per caso alle città interiori, non siamo preparati. Eravamo conversatori brillanti, eppure scopriamo che la vita è una lingua ignota. Tra le paludi e le montagne. Tra la paura e il sesso. Tra Dio e il Diavolo nasce la passione e la strada che vi conduce appare all’improvviso e la via del ritorno è la più ardua.
Insomma, grazie a Irving, non solo per i suoi romanzi, che quest’anno comunque mi rileggerò. Dall’ultimo, che ho appena finito, al primo, ovviamente intervallandoli con altri. Il 2021 sarà l’anno Irving, in attesa della nuova ghost story che pare stia scrivendo. Ma visto quanto mi sta piacendo Passione sarà anche l’anno Winterson… E anche l’anno Sciascia…