Più o meno è un miracolo. Un miracolo che si ripete ogni volta che metto nel lettore di cd l’ultimo album di Leonhard Cohen, Thank for the dance, uscito postumo, tre anni dopo la morte del genio canadese (avevo scritto poeta, ma poeta non è abbastanza…).
Leonard Choen muore infatti nel 2016 dopo aver inciso il disco You want it darker. In quella stessa occasione, in quelle session, incide le tracce vocali di altri nove pezzi sui quali lavorerà per anni suo figlio Adam, assieme a tanti altri artisti che hanno collaborato con il padre, fino a far uscire il nuovo cd nel 2019.

Non l’ho comprato subito, Thanks for the dance. Temevo un’operazione commerciale e avevo amato troppo You want it darker, e prima le registrazioni dal vivo durante l’ultimo tour mondiale, per sopportare una delusione. E invece non avevo capito un tubo. Il tempo è servito al figlio per fare bene le cose, par dare i giusti colori ai testi che il padre aveva scritto come commiato dalla vita. E che il lavoro fatto da Adam sia stato davvero superbo lo si capisce fin da subito, da quel primo pezzo, Happens to the heart, in cui giganteggia il liuto spagnolo di Javier Mas. Il tono è meno “dark” che nell’album del 2016. Siamo sempre nel terreno dei “recitativi con musica” che caratterizza l’ultimo Cohen, ma la tristezza dell’addio è stemperata dalla consapevolezza di quanto sia stata bella e ricca di gioia la vita vissuta. Bittersweet forse è la parola giusta, la sensazione di dolcezza e insieme di tristezza che ti resta addosso dopo l’ascolto, un ascolto che ti fa voglia di premere di nuovo il tasto “play”. E ancora…
