Erano più o meno le dieci, ieri mattina, quando ho lasciato Daniela a Ciampino, pronta prendere il suo aereo per Lourdes. Quando sono uscito dall’aeroporto non ero ancora sicuro di fare davvero quanto avevo pensato il giorno prima: andare a L’Aquila, a vedere quanto era stato ricostruito. Una vocina dentro di me diceva “Ma che ci vai a fare a L’Aquila, tutto solo?” Al che un’altra vocina rispondeva “E perché no? Da qui è solo un’ora. È una vita che non ci vai, pare che abbiano ricostruito un sacco. Hai della bella musica nello stereo. Se devi stare solo a casa, tanto vale che vai…”. Uscendo ieri mattina di casa, tanto per non saper né leggere né scrivere, mi ero comunque messo le scarpe da camminata e non quelle da barca, se mai poi avessi davvero deciso di andare. Così, una volta sul raccordo, ho deciso di non sprecare quella scelta e ho preso l’autostrada che sale in Abruzzo.
A L’Aquila andavo spesso tanti anni fa, più o meno trenta, perché ero innamorato di un’aquilana. Tanti weekend e spesso anche durante la settimana. Lavoravo sulla Tiburtina: da lì allora ci voleva poco più di un’ora con la mia Uno beige. L’autostrada non aveva segreti per me. Castel Madama, Vicovaro-Mandela, Arsoli che appare all’improvviso in basso con il suo castello, e poi la piana di Carsoli, il viadotto di Pietrasecca, l’uscita di Tagliacozzo, la piana di Avezzano e la deviazione per Pescara, la salita di Torninparte e poi la discesa verso L’Aquila. Ieri mattina è stato come viaggiare nel tempo, oltre che nello spazio. Strana sensazione. All’uscita de L’Aquila ovest i miei ricordi erano più sbiaditi: rotonde che (ovviamente) non ricordavo (perché non c’erano) e poi finalmente la strada che sale verso la Villa comunale. Cerco a lungo parcheggio e non lo trovo. Un pienone di macchine ferme ovunque, anche (se non soprattutto) in sosta vietata. Dopo un po’ di giri trovo un posto (lecito) proprio vicino alla Villa in una strada senza uscita. Scendo. Vado verso il centro. C’è molta gente. Scopro che proprio in quel giorno inizia la 726ma Perdonanza, la festa con la quale Celestino V papa anticipò nel 1294 Bonifacio VIII e il suo primo Giubileo del 1300. Ma a Collemaggio non c’è tanta gente. C’è un palco davanti alla basilica, i tecnici che preparano lo spettacolo della sera, ma nella meravigliosa basilica medievale ottimamente restaurata siamo in pochi.

A Collemaggio comunque arriverò alla fine della mattinata, dopo aver girato il centro della città, che sa insieme d’antico e di nuovo, con le tante gru che occupano il celeste del cielo e s’infilano in ogni fotografia. Risalgo il Corso e passo davanti al bar dei Fratelli Nurzia (che fanno un torrone migliore di quello delle Sorelle, ma solo gli aquilani lo sanno). La grande piazza del Duomo è occupata da un palco (proprio davanti al Duomo) e dalle sedie (spaziate in stile Covid). Nella chiesa lì accanto di S. Maria del Suffragio, di cui tutti ricordiamo la cupola crollata a metà, quasi un simbolo della città terremotata, c’è un battesimo e fuori dalla chiesa parenti e amici sono tutti vestiti da matrimonio. La gente cammina lungo il Corso, riempie i tavoli all’aperto dei bar, molti indossano le mascherine, ma non mancano quelli che pensano di aver capito tutto e non hanno capito niente.




All’angolo di via Garibaldi due musicisti di strada allietano i passanti e quelli seduti nel bar lì di fronte – la violinista è piuttosto brava e anche l’accompagnatore, alla chitarra e al mandolino, fa la sua parte. Arrivo quasi alla Fontana luminosa poi torno indietro. Vado fino alla basilica di San Bernardino, anche lei tutta restaurata, con la sua scalinata che porta giù verso Porta Bazzano, torno indietro e, arrivato alla Villa, l’attraverso e vado verso Collemaggio. Non ho pensato di portare un capello e, nonostante scelga sempre traiettorie il più possibile all’ombra, temo che alla sera la pelata tenderà al rosso, ma tanto la crema idratante non mi manca…
Arrivo più rapidamente di quanto pensassi alla Basilica. Il palco davanti alla splendida facciata bianca e rosa mi impedisce di fare delle belle foto ma l’interno m’incanta. Il lavoro di restauro è stato magnifico. Il transetto crollato è solo un brutto ricordo.




Fuori il caldo della giornata d’agosto e i rumori della preparazione dell’evento serale. Dentro il fresco della basilica e una lontana musica d’organo. Giro incantato e mi fermo a ogni nicchia e a ogni affresco. Sosto davanti alla tomba di Pietro da Morrone, San Pietro Celestino, il papa che disse di no. Bei pannelli illustrativi spiegano efficacemente il grande lavoro fatto nella ricostruzione di quanto era andato perso e nel restauro di quanto s’era rovinato. Quando esco nel caldo e nella luce è passato da un bel po’ mezzogiorno. Ridendo e scherzando ho fatto anche oggi i miei sei chilometri canonici. Penso rapidamente se fermarmi a mangiare qualcosa ma qui vince la vocina che dice “Mangiare da solo? Che tristezza…”. Torno alla macchina e mi dirigo verso casa, passando per la Valle del Salto, Rieti e la Salaria, cercando di ignorare l’altra vocina che continua a dirmi “Perché, a casa in quanti siete oggi a mangiare?” È inutile, chi non sa vincere, non sa nemmeno perdere…
PS. Per chi fosse interessato, la pelata, a sera, è del suo colore normale.
P.P.S. Qui sotto la mia passeggiata di ieri nella ricostruzione dell’app Viewranger
