Il pollo… Se posso, evito di mangiarlo anche oggi, a sessantasette anni suonati. Ma quello del marchese (che racconto in questo post di otto anni fa, quando ero ancora un pischello di belle speranze) non lo dimenticherò mai. Almeno spero (vero Herr A.?)
Ieri sera in una trasmissione televisiva il cuoco-conduttore chiedeva agli ospiti di raccontare i propri ricordi relativi al pollo arrosto. E, come in una pagina di Proust, la memoria degli astanti rievocava pranzi domenicali a base di tortellini e pollo arrosto (indovinate di dove era il, anzi, la rimembrante) e via dicendo.
Non ho potuto fare a meno di ricordare un pranzo di tanti e tanti anni fa, quando, essendo l’ultima ruota del carro (e ovviamente l’ultimo a essere servito) non riuscii a evitare un pezzo di controcoscia di pollo, ovviamente arrosto, attorno al quale mi ingegnai per minuti e minuti a far finta di mangiare cercando di essere al tempo stesso credibile.
Per quanto strano possa sembrare, sono in grado di ricostruire la data e il luogo di cotanto avvenimento. Doveva essere un sabato a pranzo, l’anno era il 1972, il mese novembre, il giorno l’11. (Me ne ricordo…
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