Sarà che ogni mattina mi trovo a guardare allo specchio lo sbrego che mi hanno fatto due mesi fa da poco sopra il pube a poco sotto il petto, con rondò intorno all’ombelico, ma sono diventato sensibile al tema cicatrici.
Oggi ho cercato sulle Mappe di Google la cittadina di Window Rock, in Arizona, dove inizia il romanzo di Anne Hillerman “Spider Woman’s Daughter” (che bella notizia scoprire che la figlia del grande, grandissimo Tony Hillerman ha ripreso la saga della Polizia Navajo interrotta dalla morte del padre, e che, a giudicare dalle prime pagine del romanzo, non sfigura nel confronto…).
Come sempre mi succede le mappe di Google hanno un fascino fortissimo su di me. Così, trovata Window Rock, mi sono messo a “viaggiare” nei dintorni. E ho scoperto, poco sotto la “capitale amministrativa” della terra dei Dinè, due canyon senza nome (ovviamente senza nome lì, sulle mappe), quasi paralleli ma assai diversi. Uno sottile e arzigogolato e l’altro ampio e tondeggiante. E soprattutto il primo mi ha fatto pensare a una cicatrice, una ferita non ben rimarginata sul ventre di madre terra.

I canyon poco sotto Window Rock (dove il poco si traduce in decine e decine di chilometri…)
Che realtà affascinante i canyon. Altri mondi davvero. Ricordo ancora, del nostro viaggio di nozze negli Usa ventitré anni fa, le realtà davvero “altre” del Grand Canyon con tanto di volo sopra e dentro (e mentre scrivo mi chiedo. ma l’ho davvero fatto o sto ricordando ricordi indotti da film e racconti?) e, soprattutto, del Bryce Canyon, visto in un tramonto di tempesta, con nuvoloni neri all’orizzonte e una luce giallo-arancione da brividi. E ricordo anche il Canyon De Chelly, diverso da quei due come un placido bove di razza Chianina è diverso da un toro Miura. Immenso, ramificato, con le pareti a picco per un paio di centinaia di metri (nelle quali si aprivano gigantesche caverne che ospitavano i pueblos Anasazi) e all’interno un’enorme prateria.

Il Canyon De Chelly