Ieri siamo stati a Santa Maria in Trastevere per una messa in ricordo di papà, che è morto tredici anni fa proprio il 21, pochi giorni dopo aver compiuto 84 anni. Come sempre, entrare nell’antica basilica trasteverina è una festa per gli occhi, la mente e il cuore. Il meraviglioso mosaico absidale, quelli del Cavallini, il ciborio, il soffitto disegnato da Domenichino, per dire solo di quello che salta agli occhi di chi è seduto su uno dei banchi della navata centrale. Ma soprattutto, direi, il pavimento cosmatesco, nel quale gli occhi e la mente (e il cuore) si perdono dietro alle figure sempre diverse che riempiono la navata.
È stupefacente la maestria e l’inventiva di quei marmorari che novecento anni fa misero in opera, qui e in molte altre chiese di Roma e del Lazio (e un secolo dopo perfino a Westminster), questi incredibili tappeti di marmi intarsiati, con forme che si ripetono e intarsi tutti uguali e tutti diversi, che ti attraggono e quasi ti stordiscono se cerchi di penetrarne, inutilmente, il segreto.