Mi è bastato rileggere per caso questo post per risentire la risata trascinante e la voce pastosa e roca di Alberto prendersela con qualcuno e farlo nero – a parole, s’intende –: Alberto non era uomo da mezze misure e tra i suo colori non c’era il grigio. O ricordare il racconto del mio amico Gaetano, allora sindaco di una piccola grande città emiliana, quando, in un locale della sua città dove era in programma un concerto jazz, venne apostrofato da un signore che non conosceva (e che dal suo racconto era evidentemente Alberto) che gli diceva ironicamente in bolognese non so più cosa, ma sempre relativo al jazz. Perché il jazz era la sua vita e la sua vita era jazz.
Buffo, la morte ti porta via le persone fisiche ma, finché dura la memoria, quelli che hai conosciuto e ai quali hai voluto bene (anche se non li frequentavi così spesso come avresti voluto) tornano all’improvviso sull’onda di una musica, vedendo un film, visitando un posto o leggendo qualcosa. Piano piano si fa sempre più forte in me la consapevolezza che questo blog a me serve soprattutto a questo: a fissare sulla pagina del computer (stavo per scrivere: sulla carta) pezzi di vita che non torneranno più ma che tornano sempre quando li rileggo, per caso o per scelta.
Ieri stavo nello studio e cercavo un cd da sentire. Avevo da poco letto l’ultimo romanzo di Michael Connelly, The Black Box, in cui la colonna sonora questa volta non era Frank Morgan ma, assieme a George Cables, l’ultimo Art Pepper. Con il suo nome nella mente ho cercato alla P. Ho tralasciato i due splendidi cofanetti che erano di mio zio Alberto Alberti e che Marco mi ha dato, e ho ritrovato un disco che ho comprato qualche anno fa e che mi era molto piaciuto: Art Pepper meets the Rhythm Section, con Red Garland, Paul Chambers e Philly Joe Jones. Musica fantastica, puro godimento: Pepper sul canale sinistro dello stereo, il trio su quello destro, un interplay di altissimo livello.
E dire che i quattro suonarono assieme solo in quella occasione, il 19 gennaio del 1957. “La sessione iniziò nel modo peggiore possibile – scrive Lester…
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