Il vero ostacolo, quello che ho avuto in mente durante tutta la camminata, si è presentato dopo tre ore abbondanti. Lo sapevo che sarei arrivato al dunque e sapevo anche che, arrivato «a Rodi» (figuratamente parlando) avrei dovuto «saltare». In realtà, come la foto qui sotto illustra non tanto bene, più che saltare, avrei dovuto strisciare
sotto il cancello per evitare un’«allungatoia» di un chilometro e mezzo che a quel punto, dopo 10 chilometri abbondanti di saliscendi (più «sali» che «scendi») sarebbe stata esiziale. L’altra volta che ero passato di qua, salendo e non scendendo, ero riuscito a passar di lato al cancello (a sinistra) ma questa volta c’erano troppi rovi. Di passare sopra, vista la mia agilità e il fatto che il cancello non era bloccato al centro ma faceva tranquillamente avanti e indrè, non se ne parlava proprio. Restava solo l’opzione «marines» (o se preferite l’opzione «serpente») e da buon «marine» (o se preferite da buon «serpente») ho superato così l’ostacolo iniziando l’ultima discesa verso casa.
Dove sono arrivato diruto ma soddisfatto. Un altro desiderio realizzabile e realizzato. Un’altra bella giornata in giro per il monte Acuziano, che è sempre più un mio luogo del cuore. Accompagnato da una bella tramontana che ha pulito il cielo a fondo e che faceva danzare gli arbusti che ricoprono le mura della chiesa di Santa Maria Nuova, il sogno mai realizzato dell’abate Bernardo II che, dopo l’assedio
e la distruzione di Farfa nel X secolo, un secolo dopo voleva un monastero più sicuro e decise di costruirlo quassù. Ma l’abate che venne dopo di lui decise che no, che l’idea era sbagliata. E così la chiesa rimase lì, senza tetto, per tutti i secoli che vennero dopo. E lì sta.