Chiamare giro

Oggi, mentre leggevo l’ultimo romanzo di Antonio Manzini e sulla pagina scorrevano le immagini di una partita a poker disastrosa per un collaboratore di Rocco Schiavone, zac, un lampo ha riportato alla mente il ricordo di un’estate di tanti tanti anni fa a Torvajanica e di uno scherzo che ci fece sbellicare dalle risate.

pokereRicapitoliamo. Era l’estate del ’68 o del ’69. Un pomeriggio caldo, ma tira un po’ di vento. (Come lo so? A Torvajanica tira sempre il vento…). Sulla terrazza dello stabilimento Marechiaro quattro pischelli (uno di loro sono io, gli altri sono Claudio, Alfio e uno che non ricordo, forse Gilberto) stanno giocando a poker. Hanno quindici-sedici anni, si divertono a sparare cazzate, hanno formato una specie di banda. Giocano al centesimo. cioè per ogni mille lire dichiarate ne stanno giocando dieci, e hanno come spettatore un ragazzetto di cui non ricordo il nome, che voleva tanto entrare nella banda ma che era troppo piccolo per noi e che quindi pigliavamo sempre in  giro, raccontando di fantomatiche imprese criminali alle quali lui abboccava sempre. Claudio (Er Cancrena) e Alfio, anzi, Arfio (Er Siciliano) erano i suoi idoli.

Dopo aver giocato per un po’ i quattro si stufano e uno fa: «Chiamiamo giro», le ultime quattro mani prima della fine della partita. Il pischello non capisce e chiede: «Chi dovete chiama’? Se volete, lo faccio io per voi». Silenzio. Mentre una risata sta per esplodere, Claudio, quello che ha la vera faccia da poker, prende la palla al balzo e gli fa: «Giro, devi chiama’ Giro». E il pischello: «E come lo riconosco?». Colpi di tosse, sguardi che s’intrecciano e si sfuggono per non scoppiare ma Claudio da vero mastino non molla la presa: “È quello alto, moro, grosso». Una pausa: «Sì, quello basso, smilzo, biondo». Il pischello non capisce ma non può ammetterlo davanti al Cancrena e al Siciliano, fa sì con la testa e comincia a girare per la terrazza gridando «Giro! Giro!». Ovviamente nessuno gli risponde, torna un po’ mogio e Claudio lo spedisce in spiaggia. «Prova giù» gli dice. Quello obbedisce e mentre lo sentiamo da lontano ripetere «Giro! Giro!» con una voce sempre più senza speranza, noi possiamo finalmente scoppiare a ridere e non la smettiamo più. Quando il pischello sale, tra le lacrime (nostre) gli spieghiamo l’arcano. Da quel momento fu per sempre Giro. 

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