Diventare vecchi

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Pensavo fosse qualcosa che riguardava gli altri. Quante volte mi sono sorpreso a pensare “ma guarda quanti anziani in giro qui in Sabina” e magari guardavo qualcuno palesemente più giovane di me… E poi, mi dicevo quasi a consolarmi, “ma come può diventare vecchio qualcuno che non è mai (o quasi) stato giovane?”. E invece può, caspita,  certo che può. Posso, certo che posso.

Non è così tremendo. E non è una questione di consapevolezza intellettuale. Quella ce l’ho da tempo. È stato un ricordo d’infanzia a darmela. Ma l’ho poi ignorata bellamente per anni. Il cervello è bravissimo a trovare strade alternative, scuse, rimandi. A raccontarsi altre storie, a divagare.

No, è proprio una cosa fisica. Te ne accorgi quando fai una bella passeggiata (che non è poi chissà che) e alla fine sei soddisfatto ma stanco, molto più stanco di quanto pensavi saresti stato. Non per un’ipotesi astratta, ma perché quella passeggiata l’avevi già fatta, qualche anno fa e non ti eri sentito allo stesso modo. Oppure quando ti alzi alla mattina e  scricchioli tutto. E non è un modo di dire ma è la cruda realtà. A partire dal collo e dalle spalle è tutto un  concerto d’ossa e d’articolazioni. E quando scendi le scale per andare in cucina a farti il caffè con i biscotti ti chiedi “ma sono io questo catorcio che si muove alla Mazinga (un Mazinga molto arrugginito, va detto)?” E la risposta, ahimè, è sempre un sì.

Non è così tremendo, lo ripeto (repetita iuvant, a forza di dirlo magari ci credo…). C’è di peggio, ne sono sicuro. C’è del bello anche nella vecchiaia. O no? 

Quando mi sento così, mi rasserena leggere Orazio, l’ode del Carpe diem, nella meravigliosa versione di Pietro Tripodo, grande poeta scomparso troppo presto.

«Mentre parliamo, non fedele, fugge:
Tuttavia parliamo, Lidia, e quel tempo
Ora vuoi e interroghi che, bimbo,
già da un’isola di Sirio osserva noi,
orecchie aguzze, rapito.
Coi misteri non tormentarti;
Credo mal si affidi a un domani
Chi vuol esser lieto.
Giusto forse è quietarsi
In ciò che un dio vorrà, se inverni
A noi dia o questo sia l’ultimo
Tra le spiagge che il Tirreno affatica.
Vini gustare, filtrarli. Non so
Vivere altrove, Lidia.
Non far sperare la speranza tua
Che un termine non ha in nessuna pace.»
(Orazio, Odi I, XI)

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