I cipressi spettinati

L’altro giorno siamo stati a Bologna a dare l’ultimo saluto allo zio Guido, il padre di mio cugino Marco, che ci ha lasciato alla bella età di 95 anni. Di lui ho ricordi legati all’infanzia, alle vacanze di Ziano di Fiemme, a quel 1964 in cui il Bologna vinse lo scudetto dopo lo spareggio allo Stadio Olimpico con l’Inter e sulle strade delle Dolomiti, dalla sua spider rossa targata BO, noi bambini facevamo le smorfie e prendevamo in giro quelli con le macchine targate MI (che magari erano milanisti e avevano gioito anche loro in quel pomeriggio romano…). L’auto doveva essere una come quella qui sotto, una Dkw Auto Union 1000 SP (così dice la didascalia della foto e mi sembra che il nome corrisponda a quello che ha fatto Marco l’altro giorno), e comunque era fichissima con le code da Studebaker. E prendere in giro i milanesi sui tornanti  dolomitici era assai appagante.

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zio guido 2

Lo zio in una foto di qualche anno fa

Lo zio era una persona gentile. Era laureato in ingegneria (anche se nella vita ha fatto con grande successo più l’architetto che l’ingegnere) ed era un uomo bellissimo e grande atleta, sciatore in gioventù e tennista tutta la vita. Purtroppo non l’ho conosciuto bene come ho conosciuto altri zii di Bologna – lui e la zia Marcella si sono lasciati prima che io fossi abbastanza grande da interloquire con lui da adulto ad adulto. Ci vedevamo ovviamente ai funerali che negli anni si sono succeduti nella mia (e sua) città natale e mi ricordo che una volta, una decina d’anni fa – era tanto che non ci vedevamo –, dopo la messa mi avvicinai per salutarlo ma non riuscii a dire “ciao zio” (non sono mai riuscito a chiamare gli zii per nome e basta) che lui mi tese la mano presentandosi. Io rimasi un po’ così, poi chiarimmo l’equivoco, ci abbracciammo e mi resi conto che ero invecchiato e cambiato un bel po’, io. Lui no, invecchiava ma era sempre lo stesso, sempre bellissimo, come potete vedere dalla foto che ho preso dal ricordo struggente che Marco ha scritto a caldo su Facebook.

A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi: “Ma i cipressi del titolo?”. Ecco che ci arrivo. Nel cimitero della Certosa di Bologna (bellissimo, devo dire e meravigliosamente tenuto, almeno per quello che riguarda la parte monumentale, quella che ho visto) i cipressi erano tutti lindi e pinti, conici e tonici, senza un ramo fuori posto. Qui da noi, i tre cipressi che incorniciano la panchina dove ogni tanto mi siedo a riflettere sul futuro (sempre di meno, ahimè, le riflessioni e il futuro: la panchina è dura e il tempo passa inesorabile…) i tre cipressi sabini sono invece giovani e scarmigliati. Il vento, la neve, le tempeste li hanno spettinati e nessun giardiniere ci mette mai (o quasi) le mani. Ma a me piacciono anche così.

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