«Dio, nella sua infinita saggezza, non si è disturbato a creare due dimore – il paradiso e l’inferno. Sono lo stesso posto, e il paradiso è dove ottieni tutto quello che vuoi, e trovi mamma e papà e i tuoi migliori amici, e vi abbracciate tutti e vi baciate e suonate l’arpa. L’inferno è lo stesso posto – niente fuoco, niente zolfo – ma tutti passano senza vederti. Non c’è niente, nessuno ti riconosce. Tu gli fai segno, “sono io, tuo padre”, ma sei invisibile. Sei su una nuvola, e hai la tua arpa, ma non puoi suonare con nessuno perché non ti vedono. Quello è l’inferno».
Questa la visione dell’aldilà di Keith Richards, anima dei Rolling Stones, ormai nel settantacinquesimo anno di vita e circa dieci anni più giovane quando scrisse queste parole nella sua autobiografia Life, edita da noi da Feltrinelli e ormai nella Universale economica (quella che ho io, del gennaio 2015, è la quinta edizione). Una visione terribile dell’inferno, direi, soprattutto per chi, come Keef, ha vissuto tutta la vita per suonare con gli altri, le pietre rotolanti in primis, ma anche tanti altri musicisti. Come scoprirete leggendo le oltre 500 pagine del racconto fantastico di una vita sempre sopra le righe, nel nome del fare musica, ingurgitando quantità infernali di “cose” di tutti i tipi, dormendo quasi mai, una vita che più rock non si può. Un libro sorprendente che è difficile mollare, specie se siete cresciuti con le note di Satisfaction.
Quanto li ho ascoltati, all’infinito. Per me , dai 14/15 anni in poi, i migliori.
Per me pure, ma fino ai 17-18… comunque KR è un personaggione