L’altra sera abbiamo visto Blade Runner 2049. Non entrerò nel giochino social e un po’ stupido se sia più o meno bello del primo BR. Sono passati 35 anni e hanno lasciato il segno nei media, ma soprattutto nei nostri corpi e nelle nostre anime (e nella memoria…). Posso solo dire che mi è sembrato un film molto bello, molto ben fatto, ottimamente allacciato a livello di plot con l’originale – non a caso lo sceneggiatore è lo stesso, Hampton Fancher.
Mi ha dato emozioni equiparabili a quelle che allora mi diede il film di Ridley Scott? Non so, non ricordo, non posso dirlo. (E poi, come non sottolineare che il film che vedemmo in sala nel 1982 non era quello che l’autore voleva, che la voce fuori campo e il finale vagamente ottimista – che personalmente apprezzai moltissimo – esulavano dall’idea di RS?). Potrei dire che sono stato coinvolto nell’atmosfera, che le scenografie e le luci e la fotografia erano splendide, che personalmente avrei accorciato un po’ la lotta finale con la replicante cattiva (che sembrava venire direttamente da Terminator piuttosto che dal mondo del primo BR…). Ma complessivamente il film di Denis Villeneuve mi è piaciuto. Molto. Complice forse anche lo spostamento di interesse dal futuro (il replicante di 35 anni fa che non accetta di avere una data di scadenza e cerca disperatamente di cambiare l’ordine delle cose) al passato (il replicante di oggi che cerca le sue origini, se sia lui o meno il “miracolo” che ha avuto luogo poco dopo la fine dell’altro film). Certo, senza le musiche di Vangelis Papathanassiou è un’altra cosa (e non in meglio).
Se qualcuno si chiedesse adesso il perché del titolo di questo post lo accontento subito. Blade Runner 2049 si svolge nella Città degli Angeli tra trenta (e rotti) anni. Nella Città degli Angeli di oggi vive e lavora invece Harry Bosch, il personaggio nato dalla penna (pardon, dal computer) di Michael Connelly, di cui a giorni esce Two Kinds of truth, il ventesimo (in venticinque anni) romanzo che ha per protagonista il detective del LAPD, che ho già preordinato in Germania attraverso i miei vicini di Amazon. Di Bosch è stata realizzata da poco la terza stagione della serie televisiva, che mi appresto a vedere.
Le foto che seguono sono dei fermi immagine dalla bellissima sigla, tutti giocati su riprese a specchio, che raddoppiano e ricreano l’immagine.
Dulcis in fundo, il doppio Bosch di Titus Welliwer, l’“uomo nero” di Lost.