«Non invecchiare mentre aspetti una consegna, salta in macchina e vai a prendere tu stesso il materiale. Non ti far mai vedere con le mani in mano. Perché Stanley ti guarda, tu non lo vedi ma lui sì».
«E chi è, il Padreterno?»
«Una specie», annuì convinto.
Questo dialogo, tra Andros Epaminondas, l’assistente personale di Stanley Kubrick, e quello che del regista sarebbe diventato il vero e proprio “handyman”, Emilio D’Alessandro, è nel primo capitolo del libro di quest’ultimo (di cui ho scritto l’altro giorno). E precede di poco le Istruzioni di base ad Abbot Mead, una specie di decalogo elaborato dal regista per la villa dove viveva e lavorava. In realtà i comandamenti kubrickiani sono dodici, si vede che essere “una specie di Padreterno” aveva permesso al geniale regista americano trapiantato in Inghilterra di essere un po’ meno sintetico del Padreterno originale.
Come racconta ancora D’Alessandro, la sintesi della filosofia di SK era semplice: «Se vuoi una cosa fatta, falla». E, più in profondità: «O t’importa o non t’importa. È tutto qui, Emilio».