Avrei tanto preferito essere troppo stanco per scrivere alcunché (stanco, s’intende, per qualche passeggiatona qui nei dintorni più o meno prossimi). E invece non sono stanco: sono solo dolorante e un po’ (non poco) incazzato. Lo so che incazzarsi non è zen, ma la mia strada verso la consapevolezza e il Satori evidentemente è ancora lunga (se mai è iniziata).
Perché dolorante e incazzato, potrebbe chiedersi qualcuno? Perché stamattina, mentre già pregustavo le belle e gloriose passeggiate che avrei fatto oggi e nei prossimi giorni, la mia schiena si è esibita nel più classico colpo della strega. E non sono bastati – nell’ordine – la ginnastica, un massaggio con Lasonil, un bel cerotto di quelli freddi e a volte miracolosi, e un paio d’Oki a risolvere il problema. Sto un po’ meglio ma non bene. Quindi di belle e gloriose passeggiate per un po’ non si parla né ad esse si pensa.
Cazzo cazzo cazzo (e qui potrei aggiungere di tutto e di più: solo il mio connaturato Shibumi mi trattiene dal farlo).
Così, dopo aver fatto una passeggiatina stamattina sulle rive del Travignolo ed aver poi riposato fino alle quattro, nel pomeriggio siamo saliti in macchina – star seduto non mi duole più di tanto – e siamo andati a Cavalese, anzi a Daiano, un bel po’ più in alto, fino al Maso di Tito Speck, il re dei salumi di montagna di cui credo di aver già scritto. Una specie di antro delle delizie (che potete ammirare qui accanto) in cui l’occhio e soprattutto il naso si perdono subito. Un taglierino in tre, qualche acquisto per casa e poi, giù a Cavalese dove, essendo giovedì ed essendo tutto chiuso, sembrava di stare in una di quelle città fantasma tipiche del West.
Ritorno a Predazzo sotto la pioggia e poi qui al computer. Avrei tanto preferito essere troppo stanco per scrivere alcunché. Ma non si può avere tutto, no?