Il cielo sopra l’ingorgo

Ieri ho visto Fabio. Era un po’ che non ci vedevamo, ma come sempre sembrava che ci fossimo incontrati il giorno prima (a parte le novità che ciascuno aveva da raccontare all’altro). È bello quando l’amicizia regge forte, anche dopo ben più di quarant’anni, anche se i casi della vita (e la geografia della vita) fanno sì che vedersi non sia più quella cosa quasi quotidiana di quando avevi vent’anni e tutte le domeniche andavi a Porta Portese a comprare e vendere dischi.

Siamo andati a passeggiare a Ostia, a prendere l’aria sul pontile (ho inalato a piene narici una bella scorta di iodio, che non fa mai male). Poi siamo andati a mangiare un boccone in una trattoria davvero simpatica in un posto un po’ dimenticato da Dio (si chiama Trattoria dei Sapori, sta in via Usellini a Malafede, la prima traversa a destra della via d’Acilia presa dalla Colombo) ma in quella stessa strada Fabio e Raffaella avevano vissuto qualche anno a cavallo del passaggio di millennio e dunque gli ho fatto una sorpresa, che ha gradito, come del resto ha gradito la trattoria (davvero intriganti le orecchiette cacio, pepe e agrumi).

Poi l’ho accompagnato a casa e sono andato prendere il raccordo anulare per tornare a casa. Dalla Pontina sono salito in direzione nord (verso l’Aurelia, la Cassia e poi l’autostrada) e, vedendo che nell’altra direzione c’era coda, ho pensato che ero fortunato ad aver scelto l’altra parte del Gra. Ma dopo un po’, il primo tabellone luminoso diceva: per l’Aurelia quindici minuti (e fin qui un po’ di traffico, vabbè, ma niente di trascendentale), per la Cassia però i minuti salivano a 35. Dentro di me ho pensato, ma se entro dentro Roma, altro che 35 minuti… e sono andato avanti. Dall’Aurelia siamo andati avanti a passo d’uomo (stanco: molte, troppe pause ogni piccolo movimento). Ho acceso le mappe di Google e, messo l’indirizzo di casa, mi suggerivano (anzi, mi imponevano) di uscire dal Gra e di fare un giro di Peppe per poi risalirci vicino al punto in cui il “tappo” finiva. Ho obbedito e sono uscito a Monte Spaccato (credo si chiamasse così l’uscita) per poi fare una gimcana da una rotonda all’altra che mi ha portato sulla Boccea e poi a Casal del Marmo fino a risalire sul Gra all’entrata Casal del Marmo. Dove ci siamo ribloccati andando avanti per una decina di minuti con il solito passo d’uomo (stanco, molto stanco).

IMG_3716Risalendo sul raccordo, con l’aria condizionata “a palla” e la musica pure, ho approfittato della pendenza della strada e dello stare praticamente fermo per fotografare il cielo: la mia ribellione all’essere inscatolato assieme a tante altre sardine sotto il sole bollente delle tre e mezzo del pomeriggio del primo giorno di giugno. E mi sono confortato una volta di più della nostra scelta che risale a ormai tredici anni fa, di lasciare la bolgia cittadina per una vita più tranquilla tra le colline della Sabina. Dove non mancano i problemi, certo, a partire dal poligono di tiro costruito in fondo alla valle, ma dove, se il traffico si ferma, di solito, è perché quello avanti a te ha visto un amico e si mette a chiacchierare dal finestrino in mezzo alla strada…

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