In viaggio con la pecorella

Oggi ho vissuto un’esperienza mai provata. Ho trasportato in macchina un agnello (anzi, una pecorella: 3 mesi, una quindicina di chili) nel bagagliaio per qualche chilometro, per saldare un debito con un vicino. Ovviamente era viva, puzzolente e – poverina – molto spaventata.

Ragù

L’antefatto.

Un paio di mesi fa (o forse anche qualcosa di più) suonano al citofono. È Polidori, il vicino, visibilmente (e giustamente) adirato. Mi dice che Ragù gli ha ammazzato un’agnellina e poi quasi aggredito una vicina quando questa ha cercato di togliergli la preda dalla bocca. Potete immaginare la mia reazione di sconforto: avevo fatto da poco un recinto tutto intorno a casa, tra l’altro un bell’investimento proprio per evitare cose del genere. Ma poi, quando uscivamo in passeggiata, al momento di rientrare Fausto e Ragù immancabilmente “si davano”, salvo poi ripresentarsi alla porta dopo un po’. E una volta quel po’ aveva comportato l’uccisione dell’agnellina.

In questi casi che fai? Non puoi certo offrire dei soldi al vicino. Non si usa. Lo devi rifondere con un altro animale. Già mi era successo con i polli ammazzati da Fausto. Ma se trovare dei polletti è abbastanza facile, con una pecora è un po’ più complesso.

Oggi.

Così solo l’altro giorno Antonio, un altro vicino a cui avevo chiesto aiuto, mi dice che ha trovato l’agnello. Lo ringrazio, gli chiedo quanto mi costerà, riesco a non trasalire quando mi dice che il pastore vuole cento euro, prendiamo appuntamento per stasera alle sette. Ci vediamo a Ponte Sfondato, andiamo alla stalla, mi fanno vedere la pecorella (mi aspettavo un agnellino, è una bestia di tre mesi), le legano le zampe e la carichiamo nel bagagliaio ovviamente ricoperto di una tela cerata perché, mi aveva detto Antonio, è facile che se la faccia sotto. Mi sento un po’ in colpa, mi rincuora il pastore che, quando gli dico che spero di non aver più bisogno di lui, mi dice che comunque lui sta lì e aggiunge che è contento quando può evitare di macellare una delle sue bestie. E allora penso che sì, adesso la pecorella avrà pure paura (e infatti se l’è fatta sotto e la mia macchina puzza come una stalla) ma poi andrà a stare meglio. Quantomeno continuerà a campare.

E così, quando siamo da Polidori, apro il cofano e lui accarezza il muso della pecorella che lo guarda un po’ smarrita. La caricano sulla carriola, la portano nel recinto, le sciolgono il legaccio che le blocca le gambe. Lei resta lì quasi incredula, poi s’alza, bela e si avvicina al piccolo gregge che le si avvicina. Si guardano, si annusano e i vecchi accolgono la nuova venuta. Erano tre pecore: un maschio, una pecora più grande, una un po’ più piccola. Ora, con la nuova arrivata, sono quattro.

Il gregge allargato. La nuova venuta è la piccolina a destra

E io torno a casa. C’è da nutrire le mie quattro, di belve. Un’altra giornata s’avvia alla fine.

4 pensieri su “In viaggio con la pecorella

  1. L’ha ribloggato su enricogalantinie ha commentato:

    Questa storia ha sette anni. Me la ricordo come se fosse oggi (certe cose non si dimenticano). Nel frattempo i nostri quattro cani sono diventati una, Chicca, la Lowlander con i suoi 16 anni e mezzo, regna imperterrita sulla Capra Riccia e su di me, il suo Badantolo (l’Ottavo nano un po’ cresciuto). Ragù vive felice in Piemonte dove è stato adottato da una famiglia che riesce, a differenza di noi, a gestirlo. Chissà se uccide ancora pecore… Fernando (il signor Polidori della storia) è morto qualche mese fa lasciando un grande vuoto nelle mie mattinate – mi mancano la sua saggezza, i suoi proverbi e i caffè con lui e con Gino a parlare del più e del meno. Alle pecore aveva rinunciato da qualche tempo e quindi non so che fine abbia fatto la protagonista di questa storia. Spero stia bene e bruchi su qualche prato verde…

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