Gli album della mia vita #2. L’estate dei supergruppi

L’estate del 1969 passai un mese a Londra con mio fratello Angelo e con il mio amico Eugenio. Avevo 16 anni e non permetterò a nessuno di dire che quello è il periodo migliore della vita. Certo, c’erano Carnaby Street, Portobello, King’s Road. C’era Honky Tonk Women dei Rolling Stones (quel 45 giri, che aveva sul retro You can’t always get what you want, è stato forse il più bello che abbia mai avuto) che veniva suonato a palla e a ripetizione nelle discoteche dove non mettevano mai un lento nemmeno a pagarli. C’era tutto questo e per un ragazzino di 16 anni, lasciato praticamente senza controllo – mio fratello aveva conosciuto una tipa di Roma in aereo e faceva la sua vita: io lo vedevo solo per chiedergli un po’ di soldi quando rimanevo a secco – era qualcosa di esaltante. Ma perché lo fosse al cento per cento ci voleva una ragazza e di rimorchiare, per me almeno, non era proprio aria…

Quell’estate fu anche l’estate dei supergruppi. Uscirono, uno dietro l’altro, l’album dei Blind Faith, quello degli Humble Pie e dulcis in fundo quello che portava i nomi dei tre componenti: Crosby, Stills & Nash. Belli tutti e tre, non c’è che dire. Esaltato dalle individualità quello del quartetto Clapton-Winwood-Baker-Grech. Bluesy, sporco nei suoni e tosto quello che aveva come leader il duo Frampton-Marriot, il bello e la bestia.

Perfetto, a dir poco, quello degli alfieri della West Coast (con l’inglese Nash più westcoastiano degli altri). Dieci pezzi, cinque per facciata. Tutti davvero belli, senza esagerazione. A partire da quella Suite Judy blue eyes di Stills con cui inizia l’album, un pezzo di circa 9 minuti in quattro sezioni, con quasi tutti gli strumenti suonati dall’autore (grande musicista e vero polistrumentista) e le tre voci a intrecciarsi in armonie celestiali. Ma anche Crosby e Nash portarono canzoni fantastiche: Long time gone e Guinnevere il primo, la deliziosa Marrakesh express e la ballad Lady of the island il secondo. Ma forse (anzi, senza forse) il pezzo più bello è Wooden Ships, scritta da Crosby e Stills con Paul Kantner dei Jefferson Airplane (ed eseguita anche da questi ultimi nel loro Volunteers, uscito qualche mese dopo, nel novembre di quell’incredibile 1969), con la sua atmosfera un po’ sci-fi e il fantastico e misterioso assolo jazzy di Stills che per molti di noi pischelli era una promessa di lidi sconosciuti, cui attingere con le nostre barche di legno.

Un pensiero su “Gli album della mia vita #2. L’estate dei supergruppi

  1. L’ha ribloggato su enricogalantinie ha commentato:

    L’inglese allora non lo parlavo bene (neanche adesso a dire il vero, ma adesso lo comprendo un po’ di più; parlare una lingua si sa, è un’altra cosa…) ma in fondo non mi sembrava così importante capire il testo delle canzoni: c’era già la musica che era così tanto. Epperò i primi due versi di Suite Judy blue eyes fotografavano per vie traverse la mia situazione di allora… It’s getting to the point where I am no fun anymore, I am sorry/ Sometimes it hurts so badly I must cry out loud, ‘I am lonely.’
    Londra era bella in quel luglio di quasi cinquant’anni fa. Non so se mi sono divertito. Ma ci ho provato, ci ho provato fino in fondo

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