Ho iniziato questo post una decina di giorni fa. Pensavo di scriverlo in fretta. E invece mi sono bloccato più e più volte. Non sono più il ghepardo di una volta (come si usa dire). Ma in certe condizioni scrivere non è facile. Avevo iniziato così:
Lunedì (era lunedì 4, ndr) siamo stati a Santa Prisca a salutare Puccio, che se n’è andato poco prima di compiere settant’anni. La chiesa era piena, nonostante l’ora (le tre del pomeriggio) e il caldo (a Roma c’erano almeno 37-38 gradi all’ombra). Ma non è stata una sorpresa. A Puccio non potevi non voler bene, se lo conoscevi.

Io l’ho conosciuto poco meno di 60 anni fa, in prima media (la Prima B) al Massimo. Era il 1963. Nelle foto di classe lui è il bambino biondo, magro, con il nasone (a dire il vero da piccolo il naso non era ancora importante). Di lui ho sempre invidiato il fisico: snello e agilissimo. Quando ancora subivo il calvario dell’ora di ginnastica in palestra (qualche anno dopo grazie alla mia anca venni esonerato e invece di fare figuracce davanti a tutta la classe giocavo a ping pong con Marcello in una saletta al primo piano), al momento della corda lui era su in tre bracciate (non parliamo poi della pertica…) mentre io restavo lì, dopo il primo balzo, appeso come un caciocavallo. Puccio era fantastico a pallone, in qualsiasi ruolo. E qualche anno dopo, quando intorno ai trent’anni ci vedevamo spesso, ricordo sue splendide prestazioni al limite del paranormale quando qualcuno proponeva di giocare al Limbo (avete presente? quando si doveva passare sotto un’asticella ballando al ritmo del Limbo Rock, e poi l’asticella s’abbassava e tu dovevi ripassarci sotto, rischiando fratture multiple alla spina dorsale? ecco, quella cosa lì a Puccio riusciva facile facile…).
Dopo la messa Federico ha parlato del padre con un ricordo dolce, vero, ironico e commovente. Le sue parole mi hanno richiamato alla mente un’altra caratteristica di Puccio che avevo quasi dimenticato: la sua incredibile dimestichezza con la vela. Quando salivi sul 470 con lui giù tra il Circeo e Terracina ti rendevi conto che Puccio e la barca erano un tutt’uno. Che tu sapessi fare qualcosa o meno, che sapessi governare il fiocco o meno, non contava. Puccio ti spiegava tutto con calma e comunque poteva fare tutto lui, magari timonando con un piede, e non mi sono mai più sentito al sicuro su una barca come in quei giorni…

Puccio amava ridere, scherzare, ridimensionare le cose. Il termine understatement, così caro alla cultura inglese, gli stava a pennello. Non l’ho mai sentito alzare la voce con nessuno se non “con il mondo” per una delle sue intemerate sulla situazione politic-economic-sociale (le “pucciate” le chiamavamo) con le quali si scaldava in fretta (ma quanto ci giocava sopra…) e altrettanto in fretta (se non di più) si raffreddava.
Potrei andare avanti a lungo ma voglio finire con due ricordi. Uno sulla passione di Puccio per i cipollotti e ancor di più gli aglietti freschi: indimenticabili in campagna le sue frittate con gli uni e con gli altri. Solo chi le ha provate sa di cosa parlo. E a proposito di cipolla, come dimenticare quella sera del Cipolla Party all’Aventino, irripetibile e irripetuto (almeno per quanto ne so) in cui ognuno doveva portare un piatto che avesse come ingrediente fondamentale la cipolla? Eravamo giovani, avevamo stomaci e intestini potenti. Non ricordo come fu il giorno dopo ma la serata fu un successone.
L’altro riguarda lui e Isabella, compagna moglie amica. Puccio e Isa erano inseparabili. Sentite come suona bene: Puccio-e-Isa, Isa-e-Puccio. Io sono stato testimone al loro matrimonio in Campidoglio. Non avevo giacche, all’epoca, mi presentai con i pantaloni di velluto e un maglioncino bordò, il loden verde e l’immancabile tolfa a tracolla. Un vero troglodita, a pensarci oggi. Mi dovevano davvero voler bene per non avermelo mai fatto pesare. Era il 1981, il 1°marzo: scrivo questa data con il terrore di sbagliarla – quante volte l’ho sbagliata… Fu in quell’occasione, guardando le foto del matrimonio, in particolare quella in cui, chinato, firmo il registro, che mi resi conto di come la mia battaglia contro la calvizie fosse ormai ormai avviata a una disfatta.
Con Isa c’è sempre stata più sintonia intellettuale, oltre al grande affetto. Con Puccio, oltre al grande affetto, quel gusto del cazzeggio e i ricordi di quando eravamo piccoli che ci univano. Ma soprattutto, prima e dopo il loro matrimonio, Puccio e Isa sono stati per tanto tempo la mia famiglia. Quando ero solo e triste, quante volte sono stato invitato (o mi sono autoinvitato) a Via Canina all’ora di cena…
I ricordi sono strane bestie: vengono, vanno, scompaiono, riaffiorano. A volte basta un biscottino o il discorso di un figlio per illuminare angoli della mente dove dominava l’oscurità. A volte un ricordo lo costruisci nel racconto e poi piano piano diventa vero. In questo post sono abbastanza sicuro di aver parlato di veri ricordi veri (per quello che vale questo aggettivo, anche se ripetuto…). Quello di cui sono assolutamente sicuro è che Puccio e Isa sono da tanto tanto tempo una parte importante e profonda della mia vita.
La Regina Elisabetta ama molto una canzone della sua gioventù, una canzone molto in voga durante la guerra: We’ll meet again. Anche a me – confesso – piace. Piace soprattutto l’idea (al di là del crederci o meno: già sperarlo consola). Quel “some sunny day”, l’idea di quel giorno di sole in cui ci incontreremo di nuovo, mi dà una gran pace. Quel giorno, comunque, se ci sarà, quando ci sarà, mi piacerebbe incontrare Puccio davanti a una frittata con gli aglietti e a un bel bicchiere di vino rosso. E cazzeggiare assieme sugli anni del Massimo, sul bidello di larghe vedute o sul professore di latino e greco che cercava di aprire la porta del bagno tenendoci però il piede davanti. O ricordare la corsa al bar quando suonava la campanella della ricreazione…
Grazie per il ricordo fantastico di papà. Le persone belle si vedono da quello che hanno intorno.
C’era tanto altro da dire. ma non avrei finito mai… Caro Federico prima o poi bisognerà organizzare una festa per Puccio, per farci due pianti e tre risate – le cipolle ormai sono pericolose…
grazie anche da parte mia