Sto ascoltando Bill Evans che, con il suo trio più bello, quello con Scott LaFaro e Paul Motian, illuminò, quella domenica alla fine di giugno del 1961, il Village Vanguard a New York (e per i giorni a venire, attraverso le incisioni dei cinque set di quella sera, il resto del mondo).

Scott LaFaro, Bill Evans, Paul Motian
Sto lì in religioso silenzio e mi abbevero a questa musica che non (mi) sazia mai. All’improvviso mi rendo conto del rumore di fondo, la gente che mangia, beve, chiacchiera, ride. Come si fa nei jazz club un po’ dovunque. E penso a quelle sessanta-settanta persone, magari cento (ci sono stato al Village Vanguard e me lo ricordo abbastanza piccolino) che stanno lì e ascoltano il concerto più famoso di tutti i tempi ma non lo sanno. Chiacchierano e alla fine dei pezzi se la cavano con un applauso di cortesia o poco più. Come succedeva del resto all’opera ai tempi di Mozart.
Chissà cosa hanno pensato anni dopo, se è capitato loro di sentire i dischi.
– Ah, Bill Evans, quel tizio lungo con gli occhiali chino sul piano.
– Bel concerto. E bella serata con gli amici.
– Però… non mi ero accorto che fossero così bravi…
Avevo otto anni il 25 giugno del 1961. Non avrei mai potuto esserci fisicamente. Ma quei dischi e quei cd li ho consumati a forza di sentirli. E quando sul lettore inizia Waltz for Debby, io sono lì, in un tavolo vicino al palco e non parlo. Ascolto e immagino di avere sessanta e passa anni e di stare in una casa in una valle appartata ma non troppo, mentre la musica esce dallo stereo. Ma non sarà mai come quella che sto sentendo in questo momento, mentre i miei occhi corrono dalle mani di Bill a quelle di Scott alle bacchette di Paul. Se esiste il Paradiso, in Paradiso devono suonare così…