Per un po’ l’ho anche giocata al Lotto, la targa della mille-e-cento di papà (e anche quella della mille-e-cinque), sulla ruota di Roma, ovviamente. Non ho mai vinto nulla (non sono mio fratello – che Dio ti benedica, Angelo caro…) e così ho smesso. Ma la triade 26, 53, 95 (al lotto giocavo il 9 e il 5) resta inchiodata nella mia mente. Il giorno che dovessi non ricordarla più comincerò a preoccuparmi…
Ho sempre avuto una spiccata propensione per i numeri. Addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni, divisioni… mandare numeri a memoria mi è sempre stato assai facile. Quelli del telefono, ad esempio: chi aveva bisogno della rubrica? Non io, che li sapevo tutti a mente. Adesso le cose sono un po’ meno facili. Perdo qualche colpo, lo confesso (ma più sui nomi che sui numeri, comunque, e poi, con i cellulari e le loro rubriche, chi ha più bisogno di imparare dei numeri a memoria?).
Epperò il numero di targa della prima mitica mille-e-cento grigia di papà (grigia un po’ smorta, certo non metallizzata) è impossibile da dimenticare. La vecchia Fiat con cui negli anni 50 ai primi d’agosto papà partiva alle sette da Roma e in dodici ore (ancora non c’era l’autostrada del Sole) arrivava a Ziano, proprio in tempo per la cena, dopo essere passato per la Cassia, Firenze, la Futa, Bologna…
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