Sono ormai tre o quattro anni che non faccio più il vino. Mi sono sbarazzato anche dei macchinari per farlo e delle botti più grandi. Ma ogni tanto scendo in cantina e mi apro una bottiglia dell’ultima annata di moscato (ormai è un vino di almeno 6-7 anni, se non più). E sarà che l’ho fatto io, sarà che so che non ne farò più, devo dire che non mi dispiace (come succedeva con il bellofausto citato nel post di otto anni fa che ripubblico qui sotto). Non mi dispiace bermelo nel bel bicchiere di Porthos mentre me ne sto seduto sulla poltrona accanto alla stufa, sentendo un po’ di bella musica e leggendo qualcosa di bello. Vita da pensionato.
Sorpresa. Il mio vino bianco, che com’è noto a chi mi conosce non amo affatto, con gli anni migliora e diventa quasi buono. Anzi, bando alla modestia, diventa buono. Perde quel retrogusto che non so definire e che, quand’è giovane, rovina il sapore di “spremuta d’uva” che piace tanto a tanti (ma non a me). Con gli anni perde anche il sapore di spremuta d’uva, per fortuna, e acquista un’intensità e un’allusività quasi da vino vero. E anche un discreto corpo direi. Non so perché, non so come, non succede a tutte le bottiglie (in alcune viene la “fioretta”, quel velo bianco che si forma sulla superficie) ma ad alcune succede. E allora è una festa, almeno per me.
Qualche giorno fa ho preso due bottiglie di bellofausto 2005 (così ho chiamato il bianco, in onore del cane più bello del mondo…) e le ho travasate piano piano…
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