Non so come iniziare questo post. Avevo in mente tutt’altro incipit, infatti, a metà tra il ricordo elegiaco e lo sguardo verso il futuro. Ma adesso che, guardando su Internet alla ricerca di foto che avvalorassero il ricordo (in effetti lontano…) e mi consentissero di intrecciare in modo più preciso l’Enrico di trent’anni fa con quello di oggi, adesso che ho letto che quel caffè Giacosa di Firenze di cui volevo parlare in effetti è chiuso da più di un anno, beh, devo ancora abituarmi alla notizia (e cambiare l’attacco del pezzo…).
Ieri sera, quando verso mezzanotte sono arrivato in piazza a Poggio Mirteto per aiutare gli amici dell’associazione a smontare il banchetto del mercatino in piazza e a trasportare con la mia macchina i tavoli e le casse con gli oggetti rimasti nel garage del presidente, pensavo di trovare un luogo ormai semideserto e di sbrigarmela in fretta. E invece la piazza brulicava di gente, dal palco alla fine della piazza arrivava una musica orrenda che si mischiava con quella altrettanto brutta che gli altoparlanti del bar di fronte eruttavano senza pace (e dire che venivo da un gran bel concerto, quello delle Lamorivostri in quel di Frasso Sabino: dalle stelle alle stalle). E comunque lì stavo, mentre tante persone giravano da stand a stand, senza comprare ovviamente niente. Di fronte al nostro banchetto, la mostra fotografica che abbiamo organizzato nella “galleria” di palazzo Sbraccia sui matrimoni dei poggiani dall’inizio del 900 agli anni settanta stava andando alla grande: gente che entrava di continuo e che, quando usciva, non aveva nessuna intenzione di andare a casa e continuava a girovagare a tempo perso tra gli stand.
Mentre mi rassegnavo all’idea di fare le ore piccole il mio occhio cadeva su un piccolo shaker su un tavolo. Proprio quello di cui ero in cerca da un po’ di tempo. Perché dovete sapere che quando sono stato l’ultima volta da Nespresso ho visto che la proposta estiva era quella dei caffè da fare shakerati. E mi sono ricordato di quella volta che più o meno trent’anni fa Gianni, che si era trasferito a Firenze nella città della
moglie Paola, mi portò da Giacosa a prendere appunto il primo caffé shakerato della mia vita. E per me, abituato al pessimo caffè freddo di troppi bar romani, era stato amore a primo sorso: quel nettare fresco fatto sul momento, con l’insolito ma stuzzicante retrogusto di limone dovuto alla scorzetta agitata insieme al caffè e al ghiaccio, era stata un’epifania. Tanto che per anni era stato quasi impensabile andare a Firenze senza passare da Giacosa, il bar dove avevano inventato il Negroni, ma che per me era quello del caffè shakerato.
E allora capite lo shock nello scoprire che quel posto magico non c’era più. Un vero colpo. Che ho cercato di attutire provando a farmi il primo caffè shakerato a casa, con lo shaker che poi ieri sera in effetti ho comprato. Sul risultato, meglio glissare. Ma migliorerò. Certo che migliorerò…