Di Guascogna e di monsoni

La ragazza che mi porge il biglietto ha i capelli raccolti in uno chignon e gli occhiali dalla montatura squadrata. Mi sorride quando mi chiede da dove io venga e quando le rispondo “da Roma” fa una piccola smorfia, quasi a dire “non so se qui le piacerà, chissà quante ne ha viste, di ville romane, dalle sue parti”. Poi mi chiede come abbia saputo del loro sito archeologico, lì a Séviac, e quando le rispondo che ho visto le indicazioni sulla strada mentre andavo verso Montréal, annuisce e guarda verso la collega come a dire “vedi che servono…”.

E invece la visita è interessante. Si tratta di una villa del IV secolo piena di mosaici, abitata fino al VII secolo, quando un incendio la distrusse, e modificata negli anni dai vari proprietari, tra i quali ci dovette essere alla fine un vescovo, che non usò più gli ambienti termali e trasformò alcuni locali in una cappella. I mosaici sono tanti, i motivi vegetali e geometrici, la fattura è quella tipica del luogo, dove nel tardo impero fiorì una scuola assai quotata all’epoca.

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Curato anche l’allestimento generale con una struttura in plastica e tela, retta da pali in metallo, che ripara i mosaici dalle intemperie.

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E, a proposito d’intemperie, il mio arrivo in Guascogna da Lourdes è coinciso con una tempesta di acqua e di vento che mi ha dato il benvenuto. Il navigatore mi ha fatto fare le solite stradine dipartimentali, ben tenute ma strettine, dove non passa nessuno se non quelli guidati da una voce un po’ metallica con una pessima pronuncia francese. La natura è superba: campi coltivati, dove al giallo delle stoppie si affianca il verde del granturco, tante vigne curatissime (è la zona dell’Armagnac e dell’AOC Côtes de Gascogne) e boschi su boschi. Sulla strada pochissimi paesi ma tante fattorie, la vera Francia contadina.

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Dopo la villa gallo-romana di Séviac e Montréal, che vanta la presenza nel club dei più bei “villages de France” ma non la merita (e quindi basta e avanza la citazione), il mio vagabondare mi porta a Larressingle, una piccolissima città fortificata del XIII secolo, abbondantemente (e intelligentemente) restaurata dove, quando sto uscendo, mi prende un altro acquazzone monsonico.

 

Così improvviso, l’acquazzone, che non riesco nemmeno ad arrivare al bar che stava a venti metri. Ovviamente avevo lasciato nella macchina al parcheggio i due ombrelli e la giacca e mi sono ritrovato sotto la torre d’ingresso, assieme ad altri due turisti, a prendere una pioggia che più a vento non si poteva. Per fortuna è durata poco e son potuto tornare alla macchina senza troppi danni.

Da lì decido di andare a Fourcès, anch’esso tra i più bei villaggi di Francia (ed è vero). Sulla strada ci sono anche enormi campi di girasole.

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Fourcès è un cerchio di case medievali attorno a un parchetto di platani che stanno dove secoli e secoli fa (dodici?) stava un castello di legno. È un posto incredibile, ci si accede da un ponte su un fiume immobile e pieno di ninfee. Alla sinistra del ponte c’è un castellozzo trasformato in hotel de charme. Sul lato opposto del cerchio di case c’è un’altra porta medievale, con la torre dell’orologio. Delizioso.

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Ultima tappa, la “capitale” della zona, Condom (sì, si chiama proprio così). Case basse di pietra bianca e una grande cattedrale gotica (chissà quanto rifatta) con un bel portale su un lato. Accanto alla chiesa uno dei più brutti monumenti mai visti: quello ai quattro moschettieri. Nessuno è perfetto, insomma. Neanche in Francia.

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6 pensieri su “Di Guascogna e di monsoni

  1. Questo è uno dei migliori post che tu abbia mai scritto. E provenendo da una persona che legge e commenta regolarmente il tuo blog da 5 anni, l’affermazione è fatta con cognizione di causa.

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