L’autista di Uber che ci porta alla Soho House, nel Meatpack District, dove ascolteremo il reading di Venus Transit, la sceneggiatura di nostra nipote Giulia che due anni fa ha vinto un premio al festival di Tribeca, è giordano d’origine e si chiama Mahmoud.
È gentile e affronta il traffico delle 17, con la lunga fila creata dalle tante macchine che vanno verso l’Holland Tunnel e il New Jersey. Ci chiede di dove siamo e, quando glielo diciamo, dice che pensa di venire a marzo a Roma. Poi se la prende con le strade di New York, indegne – dice – di una città così importante. E quasi non ci crede quando gli diciamo che a Roma ce le sogniamo, strade così. Ci indica dei lavori in corso su una strada e dice con indignazione che sono aperti da due settimane.
Noi timidamente gli diciamo che a Roma i tempi sono un po’ più lunghi, di solito. Lui sembra perplesso e poi dice che la colpa è dei politici che rubano (l’ideologia transnazionale dei tassisti – e dei grillini…). Ma sento che forse ci sta ripensando, al viaggio a Roma…
Poi torna sulle strade inadeguate e dice che nel suo paese, in Giordania, le strade sono meglio. Ormai la Soho House è vicina. Ci concentriamo tutti sull’obiettivo. Arriviamo, scendiamo, lo salutiamo. A me resta la curiosità sulle strade di Amman, più larghe e adeguate di quelle della Grande Mela.