I sabini hanno più di una ragione per avercela con i romani. A partire da quel “ratto” che nei secoli li ha consacrati portatori di palco (reale) sulle capocce, come i cervi delle antiche foreste che allora coprivano gran parte del territorio. (Sull’avvenimento un’autorevole nostra conoscenza sostiene che non ratto dovette essere, ma libera scelta delle sabine: “se i sabini di allora erano come quelli di oggi…”, aggiunge sorridendo).
Ma poi c’è l’insopportabile imperialismo linguistico che ha portato a stravolgere il nome di uno dei luoghi sacri dell’identità sabina, ritirando indietro l’accento e trasformando il leggero “Vescovìo” della cattedrale storica di queste terre nel più greve “Vescòvio” della piazza che sta al centro del quartiere di Roma le cui strade hanno tutte nomi presi dalla toponomastica di queste parti.
L’altro giorno, di ritorno dall’area ecologica (situata non troppo lontano) dove sto dando l’addio alla mia collezione di vhs, ormai inguardabili), mi sono fermato un po’ a Vescovìo. Era una bella giornata con una bella luce e ne ho approfittato per scattare qualche foto. L’esterno (XII secolo) con lo slanciato campanile a bifore (probabilmente anteriore)
L’interno con i due cicli di affreschi su entrambe le pareti (a sinistra storie del Nuovo Testamento, a destra del Vecchio) di scuola romana del XIII secolo
Sulla controfacciata il Giudizio universale, forse la cosa più interessante rimasta
Un frammento pittorico nella cripta ad anello dell’XI secolo sotto il presbiterio
È un luogo tranquillo, Vescovìo, almeno durante la settimana e quando non ci sono fiere o sagre. Vale la visita.
Un bel suggerimento… grazie!
E se vai lì, fai un salto anche a Rocchette e Rocchettine – un quarto d’ora da lì