Una cosa che mi colpisce dei selfie di un amico di Facebook – ma non solo – è che spesso si riprende con la faccia triste e imbronciata, come se fosse incazzato per dover adempiere a questo ennesimo sforzo (cui nessuno peraltro lo costringe). Selfio, ergo sum. Guardami, ci sono ancora, esisto e posto (verbo, non sostantivo) nonostante la bruttezza del mondo, sembrano dire quelle immagini.
In effetti dietro a immagini brutte non ci sono solo volontà un po’ perverse, ci sono anche difficoltà tecniche. Se guardi l’obiettivo – e dunque i tuoi occhi sono in asse con l’immagine e non guardano tristemente in basso – non ti vedi nell’attimo in cui scatti, e dunque ti devi affidare alla sorte e alla fermezza della mano per quanto riguarda inquadratura e luce. Se controlli l’immagine fino all’ultimo, l’inquadratura magari sarà perfetta ma l’occhio sarà tristemente pendente.
Dei selfie che scatto butto via il 99 per cento – no, esagero, diciamo il 95 (non è che sto lì sempre a far selfie…). Ma all’occhio all’ingiù è difficile rimediare. Così ogni tanto ricorro agli shadolfie, le foto della mia ombra, ma non è la stessa cosa, ovviamente. Oggi ho provato con l’Imac – che almeno lui sta fermo – e il programma Photo Booth – quello che fa tutte le foto storte come nei Luna park. E ho deciso di sorridere. Tanto. Così. Cheers!