Nei ristoranti di un certo tipo, ormai, la presentazione conta molto. I piatti sono vere e proprie operine d’arte, con accostamenti cromatici assai intriganti. Che valgono, però, solo se sono preludio a una sostanza altrettanto, se non più, intrigante.
Nel nostro viaggio mi sono avvicinato due volte al foie gras, che adoro (non senza un minimo di problemi etici, che però, lo ammetto, durano poco davanti al piatto). Una volta è stato a Bergerac, in un ristorante della parte vecchia della città chiamato L’Imparfait, l’altra a Seillans, nel viaggio di ritorno, sempre a La Gloire de mon Père.
Ecco la versione perigordina.

Che si intitolava Le fois gras, mi-cuit au naturel. Pain moulé aux fruits secs. La gelatina sembrava di mirtilli (o comunque frutti di bosco). Le tre gocce erano una riduzione di un vino dolce locale, il Monbazillac (un cui calice ha accompagnato il piatto).
Con il pane tostato ai frutti secchi (ma anche all’uvetta) è stata una festa per il palato, dopo esserlo stata per gli occhi.
Ecco invece la versione provenzale.

Che s’intitolava Foie gras de canard maison, avec une gelée de mangue. Dove la gelatina di mango era nascosta all’interno della cavità a forma di cilindro scavata nel fois gras e ricoperta con il cilindro estratto. Anche qui pane tostato, ma semplice, senza colpi di genio a riguardo da parte del cuoco, che evidentemente già aveva dato nell’ideare il piatto.
Anche qui, piacere puro.