Ero uno scooterista

Anche questa la posso raccontare, quindi vuol dire che non è stata così tremenda. Anche se scriverla è un po’ dolorosa per via delle abrasioni alle punte dei polpastrelli dei diti della mano sinistra.

Ieri ho posto fine alla mia carriera sulle due ruote con un volo di cui non ricordo nulla. Solo l’immagine di un gruppo di macchine ferme una cinquantina di metri davanti a me che arrivo più o meno a 60 all’ora (ero in un punto della Salaria dove si va tutti in fila in attesa di arrivare all’ingresso dell’autostrada, prima di Settebagni venendo da fuori Roma)  la frenata improvvisa e poi il buio. Un flash sull’autoambulanza quando l’infermiera mi suggerisce di chiamare mia moglie (cosa che ho fatto ma non ricordo) e poi al pronto soccorso del S.Andrea la pulizia un po’ ruvida delle abrasioni sulle braccia, la Tac total body, le radiografie, la polizia stradale che mi racconta un po’ di quello che è successo e mi dà appuntamento a quando sto meglio, l’ossessione di fare la pipì per l’esame tossicologico obbligatorio in questi casi.

Risultato clinico: niente se si esclude qualche abrasione, degli ematomi (fastidioso soprattutto quello all’anca destra: sempre lì, eccheccazzo…) una sensazione generale come di essere stato il protagonista (passivo) di un pestaggio a regola d’arte. Sette giorni di riposo. Tutt’altra cosa il morale: stavolta non ci sono scuse, l’errore è stato mio, quello di ieri non è stato solo l’ultimo incidente sulla moto, è stato l’ultimo giro in moto. A quasi sessant’anni meglio prendere atto della realtà. Non so se il terzo incidente potrei raccontarlo. Meglio non averlo.

Mi hanno ricoverato in codice giallo per il trauma cranico e questo mi ha sollevato dalle attese lancinanti dei pronto soccorsi romani, ma poi, sbrigata la pratica, mi hanno sbattuto in osservazione il pomeriggio e la notte su una barella in un corridoio, una pacchia comunque rispetto alla prima ora passata nella zona dei rossi (i codici, non i comunisti) dove avevano piazzato anche un drogato legato al letto che smaniava e bestemmiava con 200 decibel di volume…

Io sulla lettiga, in primo piano il gomito “incartato”

Il corridoio “barellato” tipico dei “Pronto Soccorso” degli ospedali romani

 

 

 

 

 

 

 

C’è sempre qualcosa di peggio nella vita, è vero. Ma anche nella sistemazione definitiva non erano tutte rose e fiori. C’era il piccolo problema di una luce al neon proprio sui miei occhi, dei dolori che montavano, del fatto di stare scomodo in qualsiasi posizione e di muovermi a fatica in una lettiga a mezza piazza. Difficile dormire. Impossibile da mezzanotte in poi.

Non so e non voglio giudicare l’operato del personale. Lo stress lavorativo è tanto e le carenze logistico-organizzative – non colpa loro – altrettanto gravi. E poi, quando uno sta male, tutto sembra più difficile. Ma certo, un po’ più di informazioni ai pazienti non guasterebbero. Alla fine mi hanno fatto uscire alle 11 di stamattina. Ma fino all’ultimo non sapevo se e quando mi avrebbero visitato. Se qualcuno, magari alle 7 o alle 8, mi avesse detto, non so, “alle 9 iniziano le visite, lei è il quarto”, sarebbe stato meglio.

Tutt’altro discorso è quello delle barelle in corridoio. Uno scandalo inaccettabile. Già non è bello stare male. Ma se ti trattano come una bestia… Mi domando che cosa ci sia da tagliare ancora nella sanità. Ma Mario Monti è mai stato ricoverato al Pronto Soccorso di un ospedale romano?

6 pensieri su “Ero uno scooterista

  1. eccheccazzo… Enrico (come protesta l’anca destra) basta col farci prendere accidenti!!!
    baci affettuosi e … curativi

  2. L’ha ribloggato su enricogalantinie ha commentato:

    Sette anni fa ponevo fine alla mia carriera di scuterista. Nel post che ribloggo racconto la mia esperienza di quei giorni. Non sapevo, non potevo sapere, che tra le conseguenze di quella caduta ci fu anche l’accelerazione della sostituzione della protesi all’anca… Come dice la canzone, son contento di aver rottamato lo Scarabeo ma mi dispiace. Son contento perché anche in seguito a quella decisione sono ancora qui a scibacchiare su questo blog. Mi dispiace perché le sensazioni che si provano sulle due ruote sono incomparabili. Tra queste quella – non ridete, vi prego – di quando, iniziando l’ultima discesa verso casa, mi toglievo il casco e percorrevo gli ultimi due chilometri circa con il vento tra i capelli. Unforgettable anche lei.

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