Ho ritrovato in soffitta una custodia con le foto di una vacanza di dieci anni fa con mio fratello e mio cognato a Moso. Alloggiavamo in un garni gestito da una signora un po’ antipatica, ma il periodo è stato bello lo stesso. Coronato, come sempre da quelle parti, con il giro dei tre rifugi: Comici, Cengia e Locatelli. Circa 1.200 metri di dislivello, fino agli oltre 2.600 del Cengia, circa 8 ore tra salita e discesa. La solita ammazzata che durante ti chiedi il perché, ma poi ti lascia dentro un sacco di soddisfazioni e nei piedi qualche vescica.
Di quella volta ricordo il pranzo al Cengia. Al contrario di me e Franco, che fedeli all’idea del cibo locale, del terroir (a chilometro zero, insomma, anche dal punto di vista culturale), ordinammo la classica zuppa d’orzo (che si rivelò buona, certo, ma insomma, pas fameuse…) Angelo prese degli spaghetti pomodorini e basilico, come se fosse a Posillipo. E dai noi giù a prenderlo in giro, fino a che non arrivò il piatto, con un profumo che levati. E anche il sapore (da vero fratello maggiore me li fece persino assaggiare) era fantastico. Per non dire della cottura, quasi alla romana. Non so quanto contasse la fame (avrebbe dovuto contare anche per la zuppa…) ma la scelta “scorretta” e rischiosa del fratellone fu decisamente vincente.



PER ME,CHE NON RICORDO COSA HO FATTO IERI,E’ SCONVOLGENTE TORNARE INDIETRO ATTRAVERSO I TUOI RICORDI.DI QUELLA GITA HO IN MENTE LA GRAN FATICA.GLI SPAGHETTI QUA E LA’ SONO RIUSCITO A REPLICARLI, QUELLA ATTITUDINE FISICA MENO. GRAZIE,FRATELLO CON MEMORIA.