“Tocco la tua bocca, con un dito tocco l’orlo della tua bocca, la sto disegnando come se uscisse dalle mie mani, come se per la prima volta la tua bocca si schiudesse, e mi basta chiudere gli occhi per disfare tutto e ricominciare, ogni volta faccio nascere la bocca che desidero, la bocca che la mia mano sceglie e ti disegna in volto, una bocca scelta fra tutte, con sovrana libertà scelta da me per disegnarla con la mia mano sul tuo volto, e che per un caso che non cerco di capire coincide esattamente con la tua bocca che sorride sotto quella che la mia mano disegna.
“Mi guardi, mi guardi da vicino, ogni volta più vicino e allora giochiamo al ciclope, ci guardiamo ogni volta più da vicino e gli occhi ingrandiscono, si avvicinano fra loro, si sovrappongono e i ciclopi si guardano, respirando confusi, le bocche s’incontrano e lottano tepidamente, mordendosi con le labbra, appoggiando appena la lingua sui denti, giocando entro i loro recinti dove un’aria pesante va e viene con un profumo vecchio e un silenzio. Allora le mie mani cercano di affondare nei tuoi capelli, carezzare lentamente la profondità dei tuoi capelli mentre ci baciamo come se avessimo la bocca piena di fiori o di pesci, di movimenti vivi, di fragranza oscura. E se ci mordiamo il dolore è dolce, se ci soffochiamo in un breve e terribile assorbire simultaneo del respiro, questa morte istantanea è bella. E c’è un solo sapore di saliva e di frutta matura, e io ti sento tremare stretta a me come una luna nell’acqua”.
Non so se avrò il coraggio o quantomeno la voglia (a breve credo proprio di no) di cimentarmi di nuovo con Il gioco del mondo, che, in mancanza dell’edizione italiana (alla fine degli anni settanta era introvabile e venne ristampato solo nel 1982), affrontai in originale (il titolo in castigliano è Rayuela e sul frontespizio della mia copia trovo scritto di mio pugno “Barcelona 1978”) con entusiasmo ma anche con fatica, per l’impatto con l’idioma non posseduto fino in fondo, ma anche per la lingua di Cortàzar, per il suo sperimentalismo linguistico e formale.
Ma il capitolo 7 di Rayuela, quello che ho copiato nella sua interezza all’inizio di questo post, sì, quello lo rileggo spesso (tanto che lo so quasi a memoria). Con il suo linguaggio quasi cinematografico, con quel montaggio in cui la penna-cinepresa si avvicina e si allontana in continuazione dai due amanti, è un racconto chiuso in sé. E nei racconti Cortàzar è spesso inarrivabile.
L’ha ribloggato su enricogalantinie ha commentato:
Sto leggendo L’inseguitore, il racconto in cui Cortàzar affronta gli ultimi giorni di un personaggio che si chiama diversamente ma è Charlie Parker, l’uomo che creò il be-bop e distrusse se stesso. E devo dire che leggere lo scrittore argentino fa bene al cervello e al cuore.