La prima volta che ho visto Cat Stevens è stata nel 1970 a Londra, nella trasmissione televisiva “Top of the pops”. Indossava una maglietta bianca e blu a righe orizzontali e cantava accompagnandosi alla chitarra Lady d’Arbanville, il singolo dal suo terzo album, Mona Bone Jakon. Rimasi decisamente colpito. Nulla comunque in confronto all’effetto che mi fece l’album successivo e poi quello dopo e poi gli altri. Fino a Foreigner.
Non è facile scegliere l’album più bello tra tutti quelli di Cat Stevens, in una carriera breve ma intensissima. Ma siccome qui non si tratta di scegliere il più bello quanto quello che mi ha colpito di più, scelgo senza alcuna esitazione Foreigner, anche se nel complesso è forse meno bello di Tea for the Tillerman o di Teaser and the Firecat, che hanno al loro interno canzoni colossali ( Ne cito solo alcune: Wild world, Hard headed woman, Father and son, Rubylove, How I can I tell you, Morning has broken) e sono indubbiamente nella loro interezza dei veri e propri gioielli.
Ma Foreigner ha la suite che riempie tutta la prima facciata. E qui entriamo in un altro mondo, in un altro ordine di idee. Un pezzo, in realtà 8 pezzi, cuciti assieme con maestria, come se germogliassero naturalmente l’uno dall’altro, 18 minuti e 16 secondi. Ritmi diversi, con il piano suonato da Cat sempre sotto, a legare il tutto, ballate romantiche, ritmi spezzati, echi rock degli anni sessanta. Tutto così splendido che non ti stancheresti mai di ascoltarlo. Ma, come se non bastasse, ecco che al minuto 14 e 30 secondi arriva la magia. Pura magia. A quel minutaggio infatti il pezzo in corso, che riprende quello iniziale e lo sviluppa in quattro strofe, ognuna delle quali sembra sempre sul punto di aprirsi verso qualcos’altro ma poi torna sempre su sé stessa, a quel punto finalmente il pezzo si lascia morire e inizia la canzone d’amore più bella e, soprattutto, più felice che io abbia mai sentito. Sulle parole “The moment you walked inside my door” inizia la magia: una melodia semplice e profonda che per me è qualcosa di incomparabile e unico, su un ritmo mediterraneo, con una lunga coda strumentale che ti fa sognare che la musica non finisca mai.
Tanto che in quel 1973 in cui l’album uscì mi feci una cassetta da 46 minuti che conteneva solo quel pezzo della suite, ripetuto all’infinito sulle due facciate. Così quando mettevo su la cassetta in macchina non c’era dubbio che non capitassi su quelle note. Trucco che poi ho ripetuto per altre canzoni, devo dire. Ma questo è un altro post…
tea for the tiller man…forever….ma non conosco, o non ricordo, quei 18 minuti e 16 secondi.
Ti faccio l’mp3 e mi dirai…
così fanno 3 pennette da restituire….
L’ha ribloggato su enricogalantinie ha commentato:
A sette anni di distanza Cat (pardon, Yusuf) e il sottoscritto hanno ovviamente sette anni di più. Così come ha superato i 45 anni d’età la suite dello straniero. E io mi emozioni come la prima volta ogni volta che la sento, la suite. Soprattutto la magica parte finale, che quando capita sul mio lettore in macchina, spesso metto il “repeat” e godo ad libitum