Cena in nero

Dal soggiorno a Parma riporto il ricordo di una cena comme il faut in un paesino nelle immediate vicinanze del capoluogo. A Noceto abbiamo provato L’Aquila romana, bar enoteca e ristorante praticamente nella piazza centrale del paese, che ci ha lasciato pienamente soddisfatti. L’ho trovato cercando su Internet alla voce “ristoranti Parma” e il menu era decisamente stuzzicante. In realtà la nostra prima scelta era stata quella di andare da Cocchi, un “classico” della ristorazione parmense, che però inopinatamente il sabato sera è chiuso. E l’Aquila romana, gestito dalle due sorelle Petrini, una in sala l’altra in cucina, si è rivelato tutt’altro che un ripiego.

Gran cura dei particolari in un’atmosfera abbastanza calda (forse solo le luci erano un po’ troppo alte, a voler cercare il pelo nell’uovo) ma soprattutto grandi materie prime e una cucina di livello. Antipasto con culatello, culaccia e prosciutto (dove è stato quest’ultimo, stagionato 39 mesi e assolutamente straordinario, a vincere alla grande il confronto). Per primo abbiamo preso dei cappelletti (il ripieno era di solo parmigiano e non di stracotto, alla moda povera di montagna, ci ha spiegato la signora) in un brodo di cinque carni (piatto davvero eccellente) e un risotto con verza, formaggio fresco e peperoncino (delicatissimo e saporito). Poi un tortino di patate cipolla e rosmarino in crema  (ben equilibrato ma ustionante) e un “parmigiano reggiano in tre tempi”: all’olio, nature, e in padella, due “sigari” friabilissimi e assolutamente eccezionali. Dei dolci ricordo solo il mio, uno zabaione giallo-arancione con torta sbrisolona che ancora mi risuona dentro. Vino, un rosso dei colli parmensi fermo, giovane ma già promettente (l’etichetta, ahimé, non mi sovviene).

Chi legge forse a questo punto si chiederà del perché del titolo del post. Eccolo, il perché. A nostra domanda sulle origini del nome del locale, la signora ci ha ricordato che ai primi del novecento era una stazione di posta e si chiamava la locanda dell’aquila. Poi c’è stato il ’22 e la marcia su Roma e all’aquila è stato aggiunto l’aggettivo “romana”. “E noi – ha concluso sorridendo ma anche con fare “tosto” – quel nome l’abbiam mantenuto, perché sa, noi siamo di quel colore lì, mica rossi, ma neri, proprio neri”.

Nessuno è perfetto, avrebbe detto Joe E. Brown.

P.S. Il conto? Più che onesto, vista la qualità: 113 euro in due.

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