
L’ultima volta che ero stato a Trisulti doveva essere il 1969 o il 1970. Frequentavo il liceo al Massimo, facevamo un doposcuola in un istituto al Quarto Miglio dove erano ricoverati dei bambini poliomielitici, organizzammo una gita per loro proprio alla Certosa. Della gita rammento poco o niente. Ricordo però il sopralluogo organizzato qualche tempo prima e soprattutto il pranzo offertoci dai monaci cistercensi nel grande refettorio. Anche qui, non ho memoria di che cosa mangiammo ma sì che mangiammo davvero tanto e, alla fine, di grandi dolci fritti cosparsi di zucchero. Il priore, che doveva avere 90 anni ma ne dimostrava trenta di meno, si scusò per il parco pranzo – “siamo in Quaresima”, aggiunse – mentre il monaco addetto ai prosciutti – anche questo lo ricordo benissimo – ci spiegava che il “baccalà di montagna”, così lo chiamava, non si mangia a fette ma a dadini.
Strana cosa la memoria. Questo mi è rimasto impresso e, solo vagamente, la bellezza del luogo, ma null’altro: né la chiesa, né il chiostro, né la godibilissima farmacia. O ero una bestia, allora, e a queste meraviglie non ho fatto caso, o davvero la memoria sceglie da sola che cosa e quanto tenere con sé…
Così quando ieri, invitati dall’amico Tarcisio, siamo stati con Antonello a vedere la mostra che l’Associazione Gottifredo ha organizzato proprio a Trisulti (“Il corpo e l’idea. La Testa anatomica di Filippo Balbi”), ho avuto davvero strane sensazioni. Qualche flash dal passato – la scala che scendeva, la piazza con la fontana – e tante assolute bellissime novità. A partire dall’incredibile fascino di questo sito, immerso in una natura splendida, a 850 metri d’altezza tra boschi lussureggianti.
E poi la mostra, proprio nel refettorio di quel pranzo quaresimale. Ancora una volta, dopo quella sulla Pietà di Troppa, l’Associazione Gottifredo punta su una mostra con un solo quadro: il tipo di mostra che preferisco. Un allestimento curatissimo, un’illuminazione precisa, pannelli esplicativi esaurienti e poi, al centro di una specie di cappelletta laica, il quadro: la Testa anatomica, il capolavoro di Filippo Balbi, il pittore dell’Ottocento che passò gli ultimi anni di vita ad Alatri e che lavorò moltissimo a Trisulti. Un quadro davvero notevole, che quando venne presentato all’Esposizione Universale di Parigi del 1854 riscosse un immediato successo. Un’invenzione quasi leonardesca di un pittore dalla tecnica sopraffina, che per i Certosini dipingeva scene sacre ma dava il meglio di sé quando seguiva il suo estro.
Come abbiamo avuto poi modo di vedere quando, accompagnati dalla gentilezza e dalla competenza di Mario Ritarossi, curatore della mostra, abbiamo girato nella Certosa, dalla Chiesa piena di teleri del Nostro, alla Farmacia, dove Balbi ha lasciato libera la fantasia…



Non sono un critico d’arte e questa non è una recensione. Ma prima di chiudere voglio ricordare l’esperienza multimediale che accompagna la mostra e che è davvero notevole, anche per un anziano come me. Con la ricostruzione in realtà virtuale, dove i visori ti proiettano in un mondo inquietante nel quale le tue mani riflettono i tuoi movimenti ma insieme acquistano una vita propria. E forse ancora di più con l’audiovideo realizzato dalla classe di tecnologie multimediali del Conservatorio Licinio Refice di Frosinone: un’immersione in un mondo “altro” che cattura lo spirito di un’opera, la testa anatomica, che ha quasi centottant’anni, ma che ci parla come poche opere di oggi sanno fare…