Canzoni per una settimana. Parte quarta

Un bel gioco dura poco. Proverbio che da bambino odiavo (perché me lo imponevano) ma che da grande (diciamo pure da vecchio) acquista un senso nuovo e giusto. Quattro settimane, 28 canzoni, 28 tranci di memoria. Per adesso può bastare. Almeno per me.

Jacob Collier
La faccia è sempre quella del ragazzino che una decina d’anni fa cominciò a spopolare su YouTube, anche se adesso è più vicino ai trenta che ai venticinque. Quando è apparso tutti hanno gridato – giustamente – alla meraviglia. E se già i video e gli album danno un’idea della creatività inesauribile di JC, della sua modernità, della sua voglia di sperimentare e di innovare, è dal vivo che il ragazzo tira fuori il meglio, utilizzando al massimo la sua voce incredibile e l’altrettanto incredibile padronanza di quasi tutti gli strumenti, e, ovviamente, le possibilità della tecnologia, con loop campionamenti e quant’altro, coinvolgendo il pubblico in maniera incredibile.Abbiamo avuto la fortuna di vederlo all’Auditorium sei anni fa (Dio come passa il tempo) e ancora il ricordo è forte. Aveva appena fatto uscire il suo primo album, In my Room, e si esibiva da solo suonando tutti gli strumenti e cantando tutte le parti. Raramente sono stato così tanto a bocca aperta, rischiando di slogarmi la mascella. Esaltante. E chiuse proprio con questa Blackbird…
https://www.youtube.com/watch?v=t1OQrI1oUV8

Nigel Rogers
Forse l’ho già scritto, forse non qui però, ma nel corso della mia giovinezza ho avuto una svolta musicale improvvisa e radicale intorno ai vent’anni, quando cominciai ad aborrire tutto il pop & rock di cui mi ero nutrito fino allora per abbeverarmi avidamente alle sorgenti della musica classica, anzi, per meglio dire, della musica antica. E all’inizio più antica era meglio era. Cantigas medievali spagnole interpretate da gruppi musicali tedeschi (che oggi mi appaiono francamente un po’ noiose e da fruire a piccole dosi) erano allora il mio pane quotidiano e fonte di gran godimento. 
Poi mi sono evoluto e ho avuto il mio periodo rinascimentale, quello barocco, e poi Mozart e poi via via tutto il resto. Finendo per riscoprire e riamare anche il pop-rock (che, a dirla tutta, è l’unica musica per me “identitaria”: io sono quella roba lì, insomma). Ma quando sentivo quasi solo musica antica avevo una grande passione per Nigel Rogers, meraviglioso tenore inglese, grande interprete di Dowland e degli altri elisabettiani. Un disco che amavo molto era il suo Airs de Cour, dove interpretava, con Anthony Bailey al liuto le raffinatissime canzoni della corte francese di fine 500 e inizio 600. Questo Cessès mortels de soupirer ne è un bell’esempio.
Https://www.youtube.com/watch?v=p-efiqs_e-Y

Joni Mitchell
Chi mi conosce sa del mio amore per Joni Mitchell. Un amore che inizia negli anni 70 e traversa i decenni fino a oggi. Bella come poche e brava come nessuno Joni è la quintessenza della musica come ricerca e rifiuto dei compromessi. Dai primi album folk all’evoluzione jazz con la conoscenza di Charlie Mingus, passando per le strade del rock e della fusion, Joni non s’è mai accontentata dello status quo, probabilmente s’annoiava, sfornando capolavori su capolavori, con musiche splendide e testi veri che più veri non si può.
Questa A case of you è forse la mia preferita (anche se potrei cambiare parere tra due minuti). E questa versione dal vivo a Londra nel 1983 è a dir poco stupefacente. Joni, il dulcimer e la sua voce indescrivibile (forse era un po’ raffreddata…). Potrei ascoltarla per ore e non smettere mai d’averne voglia. Forse è per pezzi come questo che hanno inventato il tasto “REPEAT”.
https://www.youtube.com/watch?v=f_OtHVLAF4o

Jackson Browne 
Lui sì che è stato un compagno di strada per me dagli anni settanta a oggi. Le sue canzoni sono state colonna sonora alla mia vita per decenni, direi però soprattutto negli anni Settanta e Ottanta. Questa Somebody’s baby ricordo di averla sentita dal vivo a Castel S. Angelo una sera d’estate (doveva essere proprio il 1982) in un concerto esaltante dal punto di vista musicale – JB ha scritto alcune tra le più belle canoni che io abbia mai sentito e la sua band era costituita dai migliori sessionmen della west Coast – ma un po’ frustrante da quello visivo (stavamo così lontano dal palco che i musicisti erano figurine lontane).
Ancora adesso, quando da qualche compilation di quegli anni viene fuori una canzone di JB, quasi quasi mi commuovo…
https://www.youtube.com/watch?v=XnH1pMCdqAo

Madness
Alla fine degli anni 70, doveva essere il 1979, Gianni andò a vivere con Susanna dalle parti di piazza Bologna. Inutile dire che ero ospite quasi fisso. Allora il mio orario di lavoro finiva alle 13 e ricominciava alle 16, quindi spessissimo andavo da Gianni e giocavamo a ping pong nel loro enorme terrazzo durante l’intervallone di pranzo (immaginatevi la gioia dei vicini…). Ogni tanto c’erano piccoli tornei, eravamo quattro o cinque, e ognuno di noi s’era scelto un nom de raquette: il mio era Gullickson, non ricordo quale dei due gemelli, se Tim o Tom.
Comunque tornando alla musica e a questa canzone, fu a casa di Gianni e Susanna che conobbi Sergio e ho ancora vivissimo il ricordo del mio amico che ballava questo Ska dei Madness, One step beyond, scalciando dall’inizio alla fine come un matto. Doveva essere uno dei primissimi anni 80 e da allora Sergio è un mio carissimo fratello di musica.
https://www.youtube.com/watch?v=bhBs1RXpD9I

Leonard Cohen
Ho già detto di quando smisi di esibirmi e di cantare in pubblico. E poi piano piano anche in privato. Fino a che smisi di suonare e le mie canzoni piano piano svanirono con me. (In realtà non è vero, quando smisi un amico, che suonava e cantava assai meglio di me, continuava a cantarle, ma poi non ci siamo visti più e quindi ormai penso che siano svanite come lacrime nella pioggia…).
A proposito di lacrime, uno dei motivi per cui ho smesso sta anche nel fatto che, soprattutto tra chi mi voleva bene, la reazione cui assistevo quando cantavo erano occhi gonfi e labbra tremanti. Escludendo che fosse perché ero un cane (lo escludo ovviamente perché sono di parte…), probabilmente era perché le mie erano canzoni tristissime o perché magari facevano pensare a un Enrico sensibile e dolce che nella realtà non era esattamente così. Per dare un’idea (ma solo un’idea e senza voler fare paragoni, per carità) le canzoni che ascoltavo e che mi ispiravano erano più o meno, più meno che più, come questa Famous blue raincoat…
https://www.youtube.com/watch?v=tAmQgI_Mun4

Gianni Togni
E al settimo giorno della quarta settimana Enrico si guardò indietro e, soddisfatto come sa essere lui/io (cioè poco), decise comunque che bastava…
E allora chiudiamo in bellezza con questo Messaggi in codice un pezzo del mio amico Gianni, dal suo album più bello e meno fortunato. Non c’è un brano meno che molto bello in Bersaglio mobile. E alla felicissima vena compositiva fanno da contraltare arrangiamenti curati ed eleganti suonati da grandi musicisti della scena rock internazionale: Manu Katchè, Pino Palladino, Mel Collins, tanto per fare alcuni nomi. Ricetta perfetta per un grande successo. Ma evidentemente non in Italia. Era il 1988 e Gianni si era trasferito o stava per trasferirsi a Firenze. 
Della mia vita in quegli anni di fine decennio non ho molti ricordi, il che non depone bene per il periodo. So che abitavo sempre in centro, dove papà mi aveva comprato un appartamentino da single; Rassegna credo stesse ancora a Via Goito; per il resto, abbastanza buio. Dovevo aver cominciato da un po’ la mia lunga analisi. A fregarmi, del resto, è stata sempre la sintesi…
https://www.youtube.com/watch?v=KHHKqyWsvRU

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