Canzoni per una settimana. Parte prima

Ho cominciato a scrivere questi pezzetti su FB, uno al giorno (chissà quanto reggo…). Siccome l’algoritmo di Zuckerberg fa un po’ come gli pare, magari ad alcuni saranno sfuggiti. E visto che c’è un pezzo di me in ognuno, li ripubblico tutti assieme…

Like an old time movie.
Questo è uno dei miei pezzi preferiti in assoluto da più di cinquant’anni. È stato uno dei primi 45 giri che abbia mai posseduto e credo di averlo consumato sul piatto del mio primo “impianto” (un giradischi rigidamente mono dotato di essenziale funzione “repeat” per ascolti più che prolungati).
La voce magica di Scott McKenzie, una delle più belle degli anni 60, e la vena compositrice inarrestabile di Papa John Phillips sono gli ingredienti di questa canzone intimista nella strofa (ma con un basso che preannuncia cose grosse) e poi epica nel bridge e soprattutto nel ritornello.
Un capolavoro. Ogni volta che lo sento mi emoziono.
https://www.youtube.com/watch?v=Rqv3XeGoqSU

Something in the air.
Thunderclap Newman, chi era costui? Una band durata assai poco, prodotta da Pete Townshend degli Who, con all’attivo un solo album e questo incredibile pezzo che nel luglio del 1969 fu in testa alle classifiche inglesi per tre settimane. Lo suonavano dappertutto: posso testimoniarlo, quel luglio di 53 anni fa mi aggirai per un mese per le strade, i club e i pub di Londra e Something in the air, assieme a Honky Tonk Women degli Stones, fu la colonna sonora di quella mia estate. 
E in effetti in quei giorni e in quei mesi c’era davvero qualcosa nell’aria…
https://www.youtube.com/watch?v=qJae3Q2l-BY

Bene.
Avevo ventun anno, era il 1974 o forse l’inizio del 1975, la domenica pomeriggio da un po’ di tempo cantavo le mie canzoni al Folkstudio Giovani. Aspettavo sempre il cenno di Cesaroni, poi salivo sul palco con la bocca secca e la salivazione a zero, facevo uno o due pezzi, prendevo i miei piccoli applausi (un battimano non si nega a nessuno) e scendevo convinto di essere un cantautore. Verso la fine della serata Francesco De Gregori e Antonello Venditti facevano il loro ingresso lì nelle due stanze di via Sacchi.
Una sera Francesco mi chiese la chitarra in prestito e suonò una canzone che – disse – aveva finito proprio quel giorno. E la canzone era questa…
https://www.youtube.com/watch?v=kWVib-zPS2I

Alone again, naturally.
Per fortuna non capivamo l’inglese (e non ce ne importava poi molto). Quell’estate del 1972 questo fu uno dei pezzi più suonati nei juke box di Torvaianica Beach. Era per noi pischelli (allora si diventava maggiorenni a 21 anno e a 19 eri ancora un pischello) una ballata sì, non allegra, ma al massimo, diciamo, dolcemara. Ti immaginavi uno che era stato lasciato per l’ennesima volta (alone again, e per di più naturally…) e magari ti ci immedesimavi un po’ (guardacaso…) ma non pensavi che raccontasse la storia tristissima che invece Gilbert O’Sullivan raccontava in una sorta di pessimismo cosmico. 
Beata gioventù… e beata ignoranza.
https://www.youtube.com/watch?v=8ELnhjGw4Zs

Mr. Tambourine man.
Non per vantarmi, ma il primo 45 giri che abbia mai posseduto – lo suonavo su un mangiadischi rosso – è stato proprio questo (e mi fu regalato su precisa mia richiesta). Da un lato, quello A, c’era Mr. Tambourine man, la canzone che i Byrds avevano preso in prestito da Bob Dylan facendola irrimediabilmente loro. Dall’altro c’era I Knew I’d want You, di Gene Clark, il cantante del gruppo (un pezzo che a me piaceva forse di più).
Non fu un anno facile per me, il 1965 (e nemmeno il 1966): tre mesi a casa con un gesso ascellare per curare (male) la mia epifisiolisi, e poi il ritorno a scuola, per sei mesi con le stampelle, e poi per altri sei mesi con il bastone. La musica mi ha aiutato molto a sognare tempi e luoghi diversi. Se avessi capito bene il testo, sarebbe stata sicuramente la canzone perfetta, Mr. Tambourine Man, con la notte che stava per terminare e il mattino tintinnante che mi aspettava. Ma, con quella musica e quelle chitarre elettriche davvero “tintinnanti”, era comunque una canzone perfetta. 
P.S. Ma quanto sarei stato cool con gli occhialetti di Roger (allora chissà perché lo chiamavamo Chris) McGuinn…
https://www.youtube.com/watch?v=PnstCrL1_e0

I choose you.
Anche adesso a quasi settant’anni la musica continua ad avere un posto grande nella mia vita. Non c’è solo il rock (con annessi e connessi). C’è anche il jazz e la “classica” (mi scusino i puristi per questa definizione). Ma il Rock-Pop-Folk-Blues continua a fare la parte del gattone (leone forse sarebbe troppo). Ancora faccio delle compilation (una volta all’anno invece che una volta al mese…) e seguo quella che a mio personalissimo parere è musica che vale.
I vecchi marpioni che a più di settant’anni ancora graffiano (o quantomeno provano a graffiare: vedi Daryl Hall con la sua musica da casa.
E alcuni/e più giovani che la sanno lunga. Come Sara Bareilles (per la quale ho un’insana senile passione) della quale amo tutto ma soprattutto questa canzone in questa interpretazione dal vivo.
L’avrei amata anche a vent’anni…
https://www.youtube.com/watch?v=Q8e5VTlzXgU

Oblivion.
Qualcuno storcerà il naso per l’uso della parola canzone per questo magnifico pezzo di Astor Piazzolla nell’interpretazione da lasciar senza fiato di Ghidon Kremer e dei suoi tangueros baltici. Ma sbaglia. E comunque non me importa più di tanto. 
Le melodie di Piazzolla sono inarrivabili, il senso di mistero, di tragedia, di gioia infinita che le pervade avvolge e sconvolge chi le sente (almeno questo è l’effetto che fanno su di me). E quando chi suona sa far sue in questo modo le note di un altro, beh, questo è il miracolo di fare musica, racchiuso in un dischetto di metallo che speri non si rovini mai.
Nella rotazione anarchica di musiche che accompagnano la nostra colazione mattutina (il momento più bello della giornata), il cd di Kremer con le musiche di Piazzolla è tra i più presenti, se non il più presente. L’avremo sentito migliaia di volte.
Eppure ogni mattina è un’emozione irripetibile.
https://www.youtube.com/watch?v=U6gdlVmali0

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